sabato 29 ottobre 2011

4 Tematiche per il Nostro Municipio

In queste settimane nel V municipio sta crescendo un esperimento di incontro tra realtà e singole persone che hanno deciso di non poter lasciare più in mano ai soli partiti del centro-sinistra il dibattito sulle priorità e, in ultima battuta, anche sulle candidature per la guida di questo ente pubblico, amministrativamente piccolo ma politicamente fondamentale rispetto all'intera città per storia e composizione sociale.

Dall'ultimo di questi incontri è scaturita la necessità soprattutto di fare chiarezza sulle tematiche di maggiore interesse per la nostra parte politica. Come contributo personale, in questo post provo ad individuarne alcune, che ritengo ineludibili.

   1.   Creare presupposti, spazi e garanzie per la piena partecipazione della società civile alla vita istituzionale del municipio.
Il vuoto più grave, la frattura più difficile da ricomporre che si è avuta con l'ultima consiliatura, consiste nella totale scollatura tra i politici locali e le persone che compongono il loro elettorato. La partecipazione è stata poco più che uno slogan e comunque sempre promessa ed ostentata, ma mai realizzata.
Non si può dire che la società civile sia del tutto esente da colpe in questo processo di degrado, poiché per una serie di ragioni (di bottega, per lo più), non si è verificato un momento di rottura nei confronti dei rappresentanti al consiglio.
Tuttavia, quali che siano le ragioni, oggi le cose stanno palesemente così. Si protrae uno spettacolo indecoroso in cui molti eletti in una lista sono passati ad un'altra, il presidente non riesce più a comporre una giunta che goda dell'appoggio della maggioranza uscita dalle urne del 2008 - saranno in grado, prima o poi, costui di spiegare a chi lo ha eletto, nella pubblica piazza, perché - e tutti i partiti che vi sono coinvolti chiedono a turno le dimissioni di Caradonna senza mai farlo formalmente e congiuntamente.
Qualcuno più malizioso sospetta che sia per i gettoni di presenza, ma magari i fattori sono altri, solo che ai cittadini interessano poco.
La prima proposta, dunque, verte proprio sulla necessità di ri-stabilire un nesso forte tra rappresentanti e rappresentati, tale che il voto che le persone esprimono - a prescindere dalla forza amministrativa di un municipio - si traducano in volontà politica di un territorio. Abbiamo tutti chiaro ciò che questa espressione voglia dire se lo confrontiamo con l'esperienza di resistenza della Val di Susa alla Tratta ad Alta Velocità. Un territorio che ha un'esigenza diffusa, deve avere la possibilità di esprimersi prima di tutto a livello istituzionale. Se la politica contrasta la volontà del territorio (in Piemonte Chiamparino e Fassino se ne fregano altamente), si crea una rottura irreversibile e poi la gente è costretta a muoversi con mezzi poco ortodossi. E non andiamo oltre, per ora.

   2.   Dismettere, con effetto immediato, la prassi di spartizioni a tavolino e per accordo fra partiti di incarichi istituzionali al di fuori delle normali dinamiche democratiche del territorio.
E' la nota dolente della storia politica di questa città, non solo della Tiburtina.
Spesso ci si scaglia contro l'unica figura istituzionale che gli elettori intravedono, cioè il presidente del municipio, quando in realtà oltre a lui i partiti scelgono dal chiuso delle loro segreterie i vari vicepresidenti ed assessori. I quali, non avendo la necessità di essere eletti per entrare in carica, non rispondono ad altri che non siano i loro dirigenti.
Ripeto, non è una questione solo di qui, ma da qualche parte deve pur partire un moto di dignità dei cittadini che si trasformi in regole, consuetudini nuove, vincoli virtuosi per il mestiere della politica. Visto che ci siamo e che stiamo discutendo, allora, elaboriamole queste regole, questi vincoli, queste consuetudini e misuriamo la volontà dei partiti di rimettersi in gioco nel confronto pragmatico (e difficile) coi cittadini.

   3.   Mettere al centro dell'agenda politica la difesa e lo sviluppo del territorio.
Senza alcuna ulteriore ambiguità, bisogna chiudere definitivamente la lunga fase di svendita dell'ambiente naturale ed urbano del nostro spaccato di città. Sui centri commerciali, abbiamo dato; sulle abitazioni, abbiamo dato; sugli abusi e sugli sprechi, abbiamo dato. Il nostro quadrante deve essere ripensato radicalmente, affinchè la congestione del traffico e dell'inquinamento cessino. Non ci sono mezze misure. Si deve passare da una visione passiva dell'urbanistica, ad uso e consumo delle sole imprese edili e delle catene commerciali, ad un approccio attivo. Si deve ripartire dalle fondamenta per risolvere,altrimenti tutte le soluzoni si riveleranno farsesche. Ci sono zone senza reti fognarie, zone ad alto passaggio di veicoli con corsie perennemente impraticabili, zone che si allagano alla prima pioggia, zone invase da miasmi di fabbriche o discariche, ecc. Il degrado prodotto in decenni di incurie va fermato prima che da endemico diventi insanabile; e malgrado i poteri del municipio in materia siano relativi, occorre soprattutto dare una serie di segnali forti ed inequivocabili agli altri livelli amministrativi.
A differenza di quanto si potrebbe pensare, è proprio la popolazione del territorio, che meglio ne conosce problematiche e potenzialità, che deve avere un ruolo chiave. Questo ruolo va messo a valore.

   4.   Rivedere o creare, dove non ci sono, le politiche sociali adeguate, responsabili e partecipate a favore dei giovani e delle fasce svantaggiate (welfare dal basso).
Nel vasto ambito della Tiburtina, con i suoi 10 e più quartieri, si sono create condizioni di disagio tali - specie in alcune zone - da aver creato un immenso dormitorio che non fornisce altra socialità se non quella labile e frivola dei centri commerciali. Sono in particolare i giovani (categoria quanto mai complessa ed ampia) a subire la mancanza di spazi e opportunità di crescita, fatto che si congiunge ad una strutturale disattenzione del sistema paese nei loro confronti e che co-determina l'accrescersi di pericolosi vuoti sociali.
Il razzismo e l'intolleranza non sono che riflessi delle inaccettabili frustrazioni a cui ogni giorno si è messi di fronte; ma il territorio, proprio facendo leva opposta sulla creatività e sull'energia delle nuove generazioni, ha la possibilità di trasformare le problematiche in opportunità di crescita individuale e collettiva.
Far diventare l'istituzione di prossimità una vera finestra per le occasioni che i fondi comunitari, statali e regionali e le borse di studio danno, un facilitatore di accesso ai servizi, è necessario per invertire la tendenza generale.
C'è anche bisogno che il municipio torni ad agire un ruolo reale - e non di semplice rappresentanza - nelle decine e decine di vertenze aziendali che stanno caratterizzando gli ultimi anni il depauperamento produttivo della Tiburtina, cosa che non può prescindere dalla condivisione politica del valore del lavoro stesso nella società odierna.
Infine, ma non per ultima, si manifesta la stringente necessità di dare un senso nuovo ai servizi sociali di cui è direttamente responsabile il municipio, al di là dei finanziamenti a disposizione. Occorre rivedere innanzi tutto i meccanismi di accreditamento dei soggetti che operano sul territorio e, soprattutto, la reale consistenza del vantaggio economico del sistema di esternalizzazione di questi servizi, a partire da quelli per i diversamente abili e per gli anziani non autosufficianti.

Spero che questo sommario "elenco della spesa" possa essere utile come spunto di riflessione per tutti coloro che parteciperanno al dibattito sul futuro municipio e a tutti gli altri cittadini che avranno qualcosa da dire in generale.

giovedì 27 ottobre 2011

Nota per un Nuovo Municipio

In un post di qualche giorno fa* mi chiedevo cosa si potesse fare per far ripartire un territorio come il nostro, rovinato da anni di malgoverno e speculazione.
La tesi di fondo era - ed è - che mantenendo lo stesso assetto 'istituzionale' attuale, con partiti e correnti che si fanno la guerra solo per le poltrone e la distribuzione di appalti e finanziamenti, non cambierà mai nulla.
Non si tratta ovviamente di una posizione qualunquista; non è la politica ad essere marcia in sè, quanto invece chi governa la politica. Occorre quindi proporre l'alternativa, senza fermarsi alle invettive.

La soluzione, io credo, sta nel problema stesso. Il problema è che la politica è scollata dalle persone che pretende di rappresentare e così fa barcollare, o addirittura crollare, la necessità sociale delle istituzioni, delle regole e dell'attività amministrativa.
E se questo fatto è vero in generale, lo è tanto più in relazione al punto di vista della sinistra, del suo elettorato storico e sicuramente anche di quello a cui essa, riuscendoci o meno, dovrebbe far riferimento: i lavoratori salariati e le loro famiglie.

Senza girarci tanto intorno, tutti sappiamo che ormai esiste una parte della sinistra che prescinde dalle classi sociali e dai ceti economici. Questa sinistra, che preferisce chiamarsi centro-sinistra (forse per somigliare di più a quella destra che per ragioni analoghe si fa chiamare centro-destra), ha governato per quindici anni Roma e il V municipio dal 1976.
Si può obiettare che la scelta di essere moderati in politica non implichi l'essere cattivi amministratori e che quella di rimanere legati ad un'aspressione di classe non sia affatto di per sè un certificato di onestà e capacità. Ed è certamente vero. Ma rimane evidente anche come l'abbandono progressivo di tematiche inerenti la vita dei lavoratori come vincolanti per i programmi elettorali e le agende di governo (locali o meno non importa) abbia storicamente coinciso con un impoverimento senza precedenti del personale politico.
Per tre consiliature di seguito, con Caradonna eletto presidente al primo turno (giova ricordarselo, ogni tanto), l'attività politico-amministrativa del municipio è stata bloccata da questioni tutte interne alla maggioranza. Per di più, da quando lo stesso Caradonna è in carica, il territorio è stato letteralmente depredato dalle speculazioni. L'esempio più lampante, ed allarmate, è l'agoniata costruzione del nuovo edificio che deve ospitare l'ente, apparentemente pronto da anni ma mai inaugurato, nè messo in funzione: il presidente si è vantato a lungo di essere riuscito a farselo costruire gratis, ma quelli a cui ha regalato i terreni circostanti (la ex-Fiorentini, per chi è pratico) hanno ritenuto di non aver potuto lucrare abbastanza coi mostri che hanno costruito - chi ha presente il mega palazzo della Sai assicurazioni a via del Forte Tiburtino? - e sono tornati sotto per chiedere il resto. Il risultato sotto gli occhi di tutti, come detto, è che il nuovo edificio publbico sta lì, vuoto, triste e forse incompiuto all'interno.
Chiaramente, se partissi con gli altri esempi concreti di questa deriva 'sfasciona', non la finirei più. Chi in queste zone ci abita sa; non occorrono didascalie.

Quello che è accaduto è potuto accadere perchè per anni il centro-sinistra ha governato il municipio sapendo che comunque il consenso elettorale, per complesse ragioni sociali e storiche, non veniva scalfito. Essere presentati dai partiti delle varie coalizioni di centro-sinistra come candidati presidenti equivaleva senza grattacapi particolari all'essere scelti direttamente come presidenti. La direzione politica del municipio è stata dunque un corollario di strategie ed accordi discussi comunque altrove, a livello di segreterie romane dei partiti. Principalmente, come è comprensibile, è stato rilevante e quindi deleterio il ruolo di quello che oggi è il Pd, ma che prima erano i Ds e prima ancora il Pds, fino ad arrivare al vecchio caro Pci.
Caradonna, come la Mezzabotta che lo ha preceduto, faceva parte di questa componente. Se oggi è passato all'Api di Rutelli, lo ha fatto per motivi che davvero prescindono da nobili elaborazioni e tormenti ideologici.

La prossima volta che si voterà per il municipio l'unica certezza è che Caradonna non potrà candidarsi. E' già adesso al terzo mandato, perciò la sua esperienza - voglia il cielo quanto prima - si avvia alla conclusione.
Perciò già dal giorno dopo la sua elezione, nel maggio 2008, dentro i partiti si è cominciato a scalpitare sulla sua successione. Questo dibattito di bassa lega ha trascinato con sè l'attività consiliare e nel giro di pochi mesi molti dei mandati elettorali erano stati sovvertiti, con consiglieri eletti in un partito che se la filavano subito in un altro. Come il fantastico Marco Delle Cave, eletto con i 'grillini', passato poi all'Api e quindi approdato all'Italia dei valori. Per non parlare della 'transumanza' di gente del Pd verso l'Api, al seguito di Caradonna, e dello strano consociativismo del Pdl.
Con ciò, il municipio non ha governo politico da un anno. Con conseguenze non proprio edificanti sull'attività amministrativa e soprattutto sul contatto istituzione-società civile-cittadini, che è il compito di base di questo ente altrimenti condannato alla quasi impotenza da programmi di autonomia amministrativa mai compiuti.

Dicevo all'inizio che però la soluzione è insita nel problema. O meglio nella coscienza del fatto che il problema c'è. E il problema è che i rappresentanti della sinistra non rappresentano quelli che dovrebbero, come dovrebbero. Dunque occorre stabilire una relazione nuova tra cittadini politicamente, socialmente, culturalmente orientati a sinistra ed istituzioni rappresentative.
Altrimenti, meglio non averle proprio ed iniziare a rapportarsi direttamente con livelli di governo più elevati (comune, provincia, regione).
E questa nuova relazione, che deve portare ad un nuovo municipio, non può che partire dal basso, dalla quella parte della società civile che è più sensibile al bene comune, che ha maggiormente a cuore un rinnovamento profondo dei meccanismi politici e che, non ultimo, desidera un'amministrazione locale che sappia portare ai livelli superiori le istanze del suo territorio di riferimento.
Ricette pronte non ce ne sono e questo è un bene, perchè significa che chiunque si sente coinvolto si deve adoperare per dare il suo contributo; se già un processo politico di questo tipo si riuscisse ad avviare e poi a radicare, i progressi si vedrebbero anche a stretto giro di una tornata elettorale poichè i politicanti che abitualmente si presentano per farsi votare dovrebbero in prima battuta vedersela con questa parte di elettori che si sono organizzati e che hanno delle richieste semplici, inequivocabili e ben strutturate.



*da-dove-puo-ripartire-un-territorio

martedì 18 ottobre 2011

Le Due o Più Opposizioni

Siamo reduci - è proprio il caso di dirlo, dalla manifestazione di sabato scorso a Roma.
Dopo averla raccontata a caldo, provo ad abbozzare un'analisi, nella speranza che dal mio piccolo possa contribuire ad un dibattito necessario ma serio.

Premetto infatti che di serio le ricostruzioni giornalistiche dei principali organi di 'informazione' hanno davvero poco. E dire che a piazza san Giovanni c'erano anche alcune testate, che hanno visto le stesse cose che ho visto io e con me centinaia di altre persone.
Hanno visto cioè la scriteriata gestione della fine del corteo.
Si dirà che nessuno ha il diritto di attaccare la polizia, ma chi la dirige vive la concretezza dei problemi. Le considerazioni vengono dopo, al limite. Dunque, a gran voce, bisogna iniziare a chiedere conto di quanto accaduto ai responsabili del servizio. Lo schieramento iniziale della polizia è stato disastroso, per quantità e soprattutto per dislocazione. Mentre all'inizio di via dell'Amba Aradam c'era un nutrito schieramento, che ha solo intimidito i manifestanti e li ha disorientati nel momento dell'ingresso sulla piazza del vicariato, nell'incrocio di via Carlo Felice c'erano tre camionette, con idranti.
Proprio quel lato è stato attaccato, inizialmente da poche persone. La reazione scomposta di quel reparto, con caroselli e scorribande di memoria cilena, ha incendiato tutto. Ho visto con i miei occhi un'onda di persone rincorrere i blindati in ritirata, per tutte e due le ore successive alle prime cariche. Per non parlare del successivo intervento dei carabinieri, lanciati sulla folla con chissà quale obiettivo.
E ce lo spieghino questo obiettivo. Ci spieghino il lancio di centinaia di lacrimogeni (non esagero) all'interno di un piazzale che, per quanto grande, era stato completamente isolato e circondato dalle forze dell'ordine senza lasciare una sola via di fuga.
Ce lo spieghino anche Ezio Mauro e Antonio Di Pietro, autori di memorabili uscite sulla solidarietà alle forze dell'ordine e sugli arresti da effettuare preventivamente che non lasciano più nemmeno un dubbio sull'orientamento della sinistra istituzionale.

E da qui, proprio dal direttore di Repubblica e dal capo dell'Italia dei Valori, prende le mosse questo spunto di riflessione.
A prescindere dal fatto che esista un governo in questo paese, o se ce ne siano due, o più, di sicuro specularmente rimane da capire se esista un'opposizione, o se ce ne siano due o più.
Scrive esemplarmente, sul suo blog ospitato da repubblica.it, Marco Bracconi: "Nel giorno in cui il leader Idv propone il ritorno alla legge Reale del ‘75, si eviti almeno di dire che con Casini non ci si allea perché è di destra mentre con Tonino sì perché è dei nostri."
Mi verrebbe però da chiedere a Bracconi chi sono i nostri.
Come dice lui nel post citato, è la presenza "rassicurante" di Berlusconi ad aver condizionato la percezione degli schieramenti politici. Tradotto, significa che siamo così politicamente immaturi che abbiamo (come popolazione, intendo) confuso l'opporsi a Berlusconi con il fare opposizione in generale.
E' da un po' che ce lo diciamo in tanti, ma secondo me un effetto collaterale della manifestazione di sabato è stato quello di mostrare con la chiarezza maggiore possibile che esiste un blocco socio-culturale che si serve della politica per condurre unicamente una battaglia per il potere con Berlusconi.
Allorchè dovessero arrivare a prenderlo, il potere, oggi come oggi questi signori produrrebbero delle decisioni del tutto analoghe a quelle che Berlusconi vorrebbe prendere ma senza riuscirci.
Esiste, dunque, un'opposizione personale, interna alla casta economico finanziaria, che punta sulle gaffe di Berlusconi per accreditarsi presso l'opinione pubblica come migliore ipotesi per il governo del paese. Gli unici argomenti di contrasto che essa porta all'attuale maggioranza sono la mancanza di fondi per polizia e magistratura, le liberalizzazioni non portate a termine, il debito pubblico. Roba di destra, si sarebbe detto un tempo, ma le cose cambiano. Ed io che sono un realista, mi adeguo senza farmi troppi scrupoli.

In teoria, rispetto a questa opposizione, detta comunemente di centro-sinistra, si pretenderebbe di avere anche un'opposizione meno elitaria, più attenta alle gravi questioni sociali che affliggono i nostri tempi.
A livello di auto-rappresentazione le cose stanno infatti proprio così: l'Italia dei Valori, Sinistra e Libertà e altri scampoli di post-comunismo vogliono avere questa parte, ma solo nel senso di cercare di accaparrarsi il voto del malcontento. Quanto poi ci riescano davvero lo dicono i numeri, spesso impietosi.
Sappiamo bene però che ereditiamo una visione degli schieramenti vecchia di vent'anni, con un mucchio di partiti e partitini che sostengono variamente il candidato anti-Berlusconi di turno. I distinguo contano sempre meno al passare degli anni. E la ricetta-miracolo delle primarie è la più astuta delle cortine fumogene messe davanti agli occhi del 'popolo della sinistra'. Ma questa è un'altra storia, e ne riparleremo fra qualche settimana.

Anche questa sinistra, detta comunemente sinistra sociale, è malata di poltronismo. Si differenzia da quella detta di centro-sinistra per l'assoluta inconsistenza istituzionale. I suoi programmi sono impregnati di suggestioni buoniste, ma alla fine non è che un grumo di interessi dell'associazionismo di base, che i suoi (pochi) rappresentanti eletti difendono strenuamente, nascondendosi dietro le tante battaglie che ogni giorno sorgono nella società per i mille disastri del capitalismo.
Questa zona del teatro politico è quella che, si dice, dialoga direttamente con i movimenti. Ogni volta che c'è una manifestazione, soprattutto quando non è organizzata da loro ed è quindi molto partecipata, si vedono agitarsi solerti piccoli funzionari di partito-corrente-sindacato che distribuiscono bandiere a destra e a manca nella speranza di poter mettere anche loro un po' il cappello sull'evento.
Effettivamente, tuttavia, ci sono pezzi di movimenti studenteschi, di lotta per la casa, centri sociali, ecc. che interloquiscono non solo con Vendola e soci, ma più o meno calorosamente anche con il resto del centro-sinistra e i suoi sodali mediatici e para-culturali. Il che ovviamente non è illecito e neanche incomprensibile, ma è una delle ragioni fondamentali per comprendere ciò che è accaduto sabato scorso a Roma.

Da qualche anno i movimenti si sono fratturati al loro interno. Tale frattura si è avuta principalmente per effetto del tentativo della parte 'dialogante' di egemonizzare le mobilitazioni e per la resistenza di diversi altri soggetti ad accettare questo tentativo.
Di sicuro il dipinto con cui si raffigura un movimento composto per la maggior parte da bravi ragazzi e una sparuta minoranza di cattivi fa acqua da tutte le parti.
Scrivono correttamente i compagni del collettivo Militant sul loro blog: "La piazza ha esondato e scavalcato ogni struttura, gruppo, sindacato o partito; ha ignoranto accordi presi in riunioni o assemblee di cui forse neppure era a conoscenza e ha praticato la propria rabbia spontaneamente e nell’unica forma concreta in cui gli era possibile."
Il fatto è che esiste un problema, il cui specchio è la crisi economica, ma la cui essenza risiede nel sistema vero e proprio, che funziona solo a discapito dei suoi sudditi.
Di fronte a questo stato delle cose tutti noi - quelli che si ritengono interni o adiacenti ai movimenti - diciamo "noi la crisi non la paghiamo"; però con dei distinguo significativi.
Qualcuno - semplificando - si occupa di più dei meccanismi di finanziamento pubblico dell'istruzione, della ricerca e della cultura; altri pongono più direttamente il problema del sistema capitalistico, fino a concepirne l'assoluta incompatibilità con le proprie prospettive future.
Malgrado questi ultimi costituiscano sicuramente una galassia disomogenea e non unitaria, esistono. Non ci stanno a farsi relegare ai margini delle pratiche di piazza. In più il loro numero, per una serie di motivi, va via via crescendo. La sola idea di etichettarli come black bloc, 'neri' ed altre sciocchezze simili è ridicola.
L'opinabilità delle scelte che hanno compiuto nelle manifestazioni non è appannaggio dei critici istituzionali.
I quali sono sempre pronti ad indorare le parole del padrone di turno - che sia un imprenditore, un finanziere o un bieco funzionario di qualche maledetta banca centrale.
A me stupisce quando si scambia la macchina di un cittadino qualunque, il suo motorino o la sua casa, come pure un supermercato per un simbolo del capitalismo, perchè allora ogni cosa è simbolo del sistema che la produce; però so discernere la sciocchezza compiuta da un ragazzo, per il quale un sacco di politici e commentatori richiedono pene esemplari, dai crimini contro le persone e l'ambiente in cui vivono che vengono compiuti dalla catena di comando di questo sistema ormai allo sbando, i cui esponenti si rifugiano nel lusso e nel privilegio.
So discernere e mi rendo conto che devo usare la mia voce per denunciare tutto e le mie energie per lottare.



http://bracconi.blogautore.repubblica.it/2011/10/17/il-compagno-di-pietro/

http://www.militant-blog.org/?p=5684

domenica 16 ottobre 2011

Cronaca di un Giorno Difficile

Mi sono alzato contento.
Sarà una grande manifestazione. Ci sarà tanta gente. Mia moglie no, preferisco di no.
So che sarà un giorno difficile. Ma non immagino quanto. Nè come.
Arrivo a Termini e trovo già parecchia gente.
Scopro in poco tempo quanta è davvero: un fiume enorme.
Scendo per via Cavour, piena come un uovo.
Poi la prima stonatura. Due macchine bruciate davanti ad un negozio di animali, chiuso.
La colonna di fumo nero, che avevamo intravisto scendendo per la via, ha annerito una facciata del palazzo.
Poi - sono pigro - devio per una via laterale, a sinistra.
Voglio arrivare al Colosseo senza fare tutto il giro dei manifestanti.
Incrocio il camion dei Cobas e mi avvio verso via Labicana con loro.
Il nuovo scenario non è diverso dal precedente.
Un muro di persone.

All'improvviso un colpo sordo, da lontano. Non si capisce.
Primo attacco di panico collettivo: una piccola folla scappa verso di noi.
Ci rifugiamo rapidi all'entrata del parco di Colle Oppio. Ma non è nulla.
Dal camion una voce pacata invoca il ritorno alla dimensione del corteo.
Chiede di non offuscare con gesti individuali quella grande manifestazione di massa.
Si riparte. Ma l'aria non è buona.
Qualcuno poco più avanti se l'è presa con una caserma sulla via.
E' un attimo e prende fuoco. Il corteo si arresta.
E' una tensione che inizia a crescere. Ma a S. Giovanni manca poco.
Una volta che saremo arrivati ci rilasseremo.
No.
Facciamo cinquanta metri di via Merulana; usciamo sulla piazza del vicariato.
La folla si assembra in maniera disordinata.
Noi si segue i Cobas, che tengono il loro spezzone ordinato.
Nello spiazzale, al lato di via dell'Amba Aradam, c'è un cordone di polizia bello grosso.
Allora bisogna andare verso piazza S. Giovanni, sul davanti della basilica.
E' un movimento convulso, incerto. La folla fa avanti e indietro.

Decido di mettermi sulle scale del sagrato.
Nella radura, a cento metri di distanza, si muove qualcosa.
Alcuni blindati della polizia vengono fronteggiati da dei manifestanti.
Pochi gli uni, pochi gli altri.
Volano degli oggetti verso le camionette blu.
E quelle incominciano a partire, avanti e indietro.
Poi gli idranti.
E' a questo punto che il fragile equilibrio della piazza si rompe.
Quando i blindati indietreggiano, parte un'onda umana di diverse centinaia di manifestanti verso di loro.
Scoppia il casino.
Partono decine di lacrimogeni.
E' la prima nuvola, la prima di una serie che dura per tre ore filate.
Tre ore di lacrimogeni. Tre ore di cariche e contro-cariche.
Noi in circa duecento, sulle scale della chiesa, a sputare quel veleno, a sciacquarci gli occhi.

Proviamo a spostarci sul lato, nel pratone dove sono appostate le tv.
Siamo sotto la torretta di Sky. Ci vogliamo sfilare da quella brutta situazione.
Non ci riusciamo.
Siamo circondati dalla polizia, che sta chiudendo la piazza in una morsa.
Arrivano anche i carabinieri.
Volano altri lacrimogeni e ci tocca fare dietrofront.
Torniamo sul sagrato e aspettiamo.

Io non so chi abbia diretto l'ordine pubblico a San Giovanni in quel momento.
Però, o aveva un intento preciso, o non ci ha capito niente.
La folla mano a mano fluiva dal piazzale del vicariato.
Nello stesso verso, ma al contrario, sono iniziate delle assurde scorribande delle camionette.
Lì ho capito che volevano proprio sgomberare la piazza.
Ma che assurdità?
La piazza finale del corteo sgomberata a colpi di manovre automobilistiche!
In un crescendo di follia generale, un piccolo plotone di polizia cerca di prendere il centro della piazza.
Sono forse trenta agenti.
Che vengono circondati da persone che si avvicinano a braccia alzate.
Ma si impauriscono e li ricacciano indietro, senza colpire in realtà nessuno.
Poi un paio di camionette dei carabinieri si lanciano verso il vicariato.
La gente però è troppa. Ed arrabbiatissima.
Una camionetta riesce a fare retromarcia. L'altra, più avanzata, no.
Appena la intravedo mi accorgo del fumo che esce dall'abitacolo.
Un momento più tardi è in fiamme.
I militari scappano e la folla esplode di gioia.
In realtà, sullo sfondo, ancora dei tafferugli vanno avanti.
Ma tutto si è smorzato, tranne la tensione.

Capiamo che può essere il momento buono per muoversi ed uscire da quella trappola.
Ci avviamo lesti verso la Scala Santa. La superiamo.
Ci sono altri cordoni di carabinieri.
Gli sfiliamo davanti velocemente, andandocene verso viale Manzoni.
C'è ancora un mucchione di gente, sulle strade laterali.
Ma ormai siamo a Porta Maggiore.
Vicini alla macchina.
Prendiamo un caffè. Al bar c'è Rainews, con le prime immagini.
Sembra tutto così diverso, quando si guarda un posto in cui si è stati dalla tv.

Si è fatto notte. Tutti i miei amici stanno bene.
Si torna a casa.
E' stato un giorno difficile, davvero.

giovedì 13 ottobre 2011

Da Dove può Ripartire un Territorio Saccheggiato?

Tra oggi e domani nel 'nostro' municipio (roma V) avranno luogo dei dibattiti sul futuro governo del territorio.
Ora il problema è che vi sono sia delle enormi responsabilità del presidente del municipio, che per motivi di scontro personale con il Pd, suo ex partito, è passato all'Api di Rutelli causando un attrito irrimediabile con la sua maggioranza; ma anche i partiti che hanno sostenuto il presidente finora non sono esenti da responsabilità, perchè non sono riusciti ad imporgli una giunta equilibrata, lacerati al loro interno da dissidi e cambi di casacca dei consiglieri eletti nelle loro liste.
C'è dunque da chiedersi chi possa fungere da agente di rinnovamento della piccola e chiassosa sfera politica di questo pezzo di Roma, che ha sempre espresso l'umore profondo della sinistra della città.
Pare che i partiti si stiano interrogando a riguardo, ma sembra difficile che potranno fare cose buone, almeno da soli. Da anni scelgono i candidati e le poltrone con le riunioni fra segreterie. Adesso parlano di primarie anche loro, ma magari solo per legittimare le loro decisioni da carbonari (uso un termine che mi è stato suggerito durante una discussione e che mi pare consono).
E poi ci siamo noialtri. Che abbiamo già il problema di capire cosa siamo.
Sappiamo che alcuni di noi si battono da anni per i propri quartieri, cercando in un mare di difficoltà di proporre una visione altra del territorio. Parliamo di trasporti, di sostenibilità, di accesso alla cultura e alla socialità. Ed il nostro nemico principale è la speculazione, edilizia e commerciale.
Il fatto non trascurabile è che in questi lunghi anni ci siamo trovati a fare tante iniziative, ma l'istituzione locale che avevamo contribuito a legittimare con il nostro voto (ahimè!) non è mai stata esplicitamente dalla nostra parte. Anzi, nel batterci contro questa o quella cosa nello specifico ce la siamo proprio ritrovata contro, tra promesse mancate, sotterfugi, burocrazie allucinanti, ecc.
Una serie di fattori mi ha portato negli ultimi tempi a credere che le istituzioni che abbiamo, grandi o piccole, vicine o lontane, non siano più ultili in alcun modo per la popolazione. Sono del tutto inefficienti ed i loro costi non compensano neanche quel briciolo di rappresentatività che hanno.
E' probabile che organizzarsi per costruire un'alternativa praticabile, oggi, significhi iniziare a ragionare sul loro superamento. Certo, ricette pronte non ne abbiamo e dal passato giungono pochi esempi buoni e ancor meno adeguati alla realtà. Però tentare una strada dignitosa è possibile solo nella misura in cui si parte dal mettersi alle spalle certi dinosauri.