Siamo reduci - è proprio il caso di dirlo, dalla manifestazione di sabato scorso a Roma.
Dopo averla raccontata a caldo, provo ad abbozzare un'analisi, nella speranza che dal mio piccolo possa contribuire ad un dibattito necessario ma serio.
Premetto infatti che di serio le ricostruzioni giornalistiche dei principali organi di 'informazione' hanno davvero poco. E dire che a piazza san Giovanni c'erano anche alcune testate, che hanno visto le stesse cose che ho visto io e con me centinaia di altre persone.
Hanno visto cioè la scriteriata gestione della fine del corteo.
Si dirà che nessuno ha il diritto di attaccare la polizia, ma chi la dirige vive la concretezza dei problemi. Le considerazioni vengono dopo, al limite. Dunque, a gran voce, bisogna iniziare a chiedere conto di quanto accaduto ai responsabili del servizio. Lo schieramento iniziale della polizia è stato disastroso, per quantità e soprattutto per dislocazione. Mentre all'inizio di via dell'Amba Aradam c'era un nutrito schieramento, che ha solo intimidito i manifestanti e li ha disorientati nel momento dell'ingresso sulla piazza del vicariato, nell'incrocio di via Carlo Felice c'erano tre camionette, con idranti.
Proprio quel lato è stato attaccato, inizialmente da poche persone. La reazione scomposta di quel reparto, con caroselli e scorribande di memoria cilena, ha incendiato tutto. Ho visto con i miei occhi un'onda di persone rincorrere i blindati in ritirata, per tutte e due le ore successive alle prime cariche. Per non parlare del successivo intervento dei carabinieri, lanciati sulla folla con chissà quale obiettivo.
E ce lo spieghino questo obiettivo. Ci spieghino il lancio di centinaia di lacrimogeni (non esagero) all'interno di un piazzale che, per quanto grande, era stato completamente isolato e circondato dalle forze dell'ordine senza lasciare una sola via di fuga.
Ce lo spieghino anche Ezio Mauro e Antonio Di Pietro, autori di memorabili uscite sulla solidarietà alle forze dell'ordine e sugli arresti da effettuare preventivamente che non lasciano più nemmeno un dubbio sull'orientamento della sinistra istituzionale.
E da qui, proprio dal direttore di Repubblica e dal capo dell'Italia dei Valori, prende le mosse questo spunto di riflessione.
A prescindere dal fatto che esista un governo in questo paese, o se ce ne siano due, o più, di sicuro specularmente rimane da capire se esista un'opposizione, o se ce ne siano due o più.
Scrive esemplarmente, sul suo blog ospitato da repubblica.it, Marco Bracconi: "Nel giorno in cui il leader Idv propone il ritorno alla legge Reale del ‘75, si eviti almeno di dire che con Casini non ci si allea perché è di destra mentre con Tonino sì perché è dei nostri."
Mi verrebbe però da chiedere a Bracconi chi sono i nostri.
Come dice lui nel post citato, è la presenza "rassicurante" di Berlusconi ad aver condizionato la percezione degli schieramenti politici. Tradotto, significa che siamo così politicamente immaturi che abbiamo (come popolazione, intendo) confuso l'opporsi a Berlusconi con il fare opposizione in generale.
E' da un po' che ce lo diciamo in tanti, ma secondo me un effetto collaterale della manifestazione di sabato è stato quello di mostrare con la chiarezza maggiore possibile che esiste un blocco socio-culturale che si serve della politica per condurre unicamente una battaglia per il potere con Berlusconi.
Allorchè dovessero arrivare a prenderlo, il potere, oggi come oggi questi signori produrrebbero delle decisioni del tutto analoghe a quelle che Berlusconi vorrebbe prendere ma senza riuscirci.
Esiste, dunque, un'opposizione personale, interna alla casta economico finanziaria, che punta sulle gaffe di Berlusconi per accreditarsi presso l'opinione pubblica come migliore ipotesi per il governo del paese. Gli unici argomenti di contrasto che essa porta all'attuale maggioranza sono la mancanza di fondi per polizia e magistratura, le liberalizzazioni non portate a termine, il debito pubblico. Roba di destra, si sarebbe detto un tempo, ma le cose cambiano. Ed io che sono un realista, mi adeguo senza farmi troppi scrupoli.
In teoria, rispetto a questa opposizione, detta comunemente di centro-sinistra, si pretenderebbe di avere anche un'opposizione meno elitaria, più attenta alle gravi questioni sociali che affliggono i nostri tempi.
A livello di auto-rappresentazione le cose stanno infatti proprio così: l'Italia dei Valori, Sinistra e Libertà e altri scampoli di post-comunismo vogliono avere questa parte, ma solo nel senso di cercare di accaparrarsi il voto del malcontento. Quanto poi ci riescano davvero lo dicono i numeri, spesso impietosi.
Sappiamo bene però che ereditiamo una visione degli schieramenti vecchia di vent'anni, con un mucchio di partiti e partitini che sostengono variamente il candidato anti-Berlusconi di turno. I distinguo contano sempre meno al passare degli anni. E la ricetta-miracolo delle primarie è la più astuta delle cortine fumogene messe davanti agli occhi del 'popolo della sinistra'. Ma questa è un'altra storia, e ne riparleremo fra qualche settimana.
Anche questa sinistra, detta comunemente sinistra sociale, è malata di poltronismo. Si differenzia da quella detta di centro-sinistra per l'assoluta inconsistenza istituzionale. I suoi programmi sono impregnati di suggestioni buoniste, ma alla fine non è che un grumo di interessi dell'associazionismo di base, che i suoi (pochi) rappresentanti eletti difendono strenuamente, nascondendosi dietro le tante battaglie che ogni giorno sorgono nella società per i mille disastri del capitalismo.
Questa zona del teatro politico è quella che, si dice, dialoga direttamente con i movimenti. Ogni volta che c'è una manifestazione, soprattutto quando non è organizzata da loro ed è quindi molto partecipata, si vedono agitarsi solerti piccoli funzionari di partito-corrente-sindacato che distribuiscono bandiere a destra e a manca nella speranza di poter mettere anche loro un po' il cappello sull'evento.
Effettivamente, tuttavia, ci sono pezzi di movimenti studenteschi, di lotta per la casa, centri sociali, ecc. che interloquiscono non solo con Vendola e soci, ma più o meno calorosamente anche con il resto del centro-sinistra e i suoi sodali mediatici e para-culturali. Il che ovviamente non è illecito e neanche incomprensibile, ma è una delle ragioni fondamentali per comprendere ciò che è accaduto sabato scorso a Roma.
Da qualche anno i movimenti si sono fratturati al loro interno. Tale frattura si è avuta principalmente per effetto del tentativo della parte 'dialogante' di egemonizzare le mobilitazioni e per la resistenza di diversi altri soggetti ad accettare questo tentativo.
Di sicuro il dipinto con cui si raffigura un movimento composto per la maggior parte da bravi ragazzi e una sparuta minoranza di cattivi fa acqua da tutte le parti.
Scrivono correttamente i compagni del collettivo Militant sul loro blog: "La piazza ha esondato e scavalcato ogni struttura, gruppo, sindacato o partito; ha ignoranto accordi presi in riunioni o assemblee di cui forse neppure era a conoscenza e ha praticato la propria rabbia spontaneamente e nell’unica forma concreta in cui gli era possibile."
Il fatto è che esiste un problema, il cui specchio è la crisi economica, ma la cui essenza risiede nel sistema vero e proprio, che funziona solo a discapito dei suoi sudditi.
Di fronte a questo stato delle cose tutti noi - quelli che si ritengono interni o adiacenti ai movimenti - diciamo "noi la crisi non la paghiamo"; però con dei distinguo significativi.
Qualcuno - semplificando - si occupa di più dei meccanismi di finanziamento pubblico dell'istruzione, della ricerca e della cultura; altri pongono più direttamente il problema del sistema capitalistico, fino a concepirne l'assoluta incompatibilità con le proprie prospettive future.
Malgrado questi ultimi costituiscano sicuramente una galassia disomogenea e non unitaria, esistono. Non ci stanno a farsi relegare ai margini delle pratiche di piazza. In più il loro numero, per una serie di motivi, va via via crescendo. La sola idea di etichettarli come black bloc, 'neri' ed altre sciocchezze simili è ridicola.
L'opinabilità delle scelte che hanno compiuto nelle manifestazioni non è appannaggio dei critici istituzionali.
I quali sono sempre pronti ad indorare le parole del padrone di turno - che sia un imprenditore, un finanziere o un bieco funzionario di qualche maledetta banca centrale.
A me stupisce quando si scambia la macchina di un cittadino qualunque, il suo motorino o la sua casa, come pure un supermercato per un simbolo del capitalismo, perchè allora ogni cosa è simbolo del sistema che la produce; però so discernere la sciocchezza compiuta da un ragazzo, per il quale un sacco di politici e commentatori richiedono pene esemplari, dai crimini contro le persone e l'ambiente in cui vivono che vengono compiuti dalla catena di comando di questo sistema ormai allo sbando, i cui esponenti si rifugiano nel lusso e nel privilegio.
So discernere e mi rendo conto che devo usare la mia voce per denunciare tutto e le mie energie per lottare.
http://bracconi.blogautore.repubblica.it/2011/10/17/il-compagno-di-pietro/
http://www.militant-blog.org/?p=5684
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