Anche se oramai certe uscite pubbliche dei nostri ministri economici sono d'obbligo e servono più che altro a fare l'autoendorsement per il governo in carica, sono interessanti le dichiarazioni di Saccomanni sulla sicura ripresa, che arriverà senza ombra di dubbio - e senza evidenza scientifica - da qui a breve. Ma può un paese in recessione da anni passare alla ripresa senza aver avuto una vera crisi?
È vero che siamo abituati, dalle nostre parti, a scambiare il significato dei termini. Tuttavia la crisi, economicamente e storicamente parlando, non è il momento in cui le cose non vanno troppo bene e neanche quello in cui le cose vanno malissimo.
Per essere precisi, dunque, l'Italia ha avuto un lustro di stagnazione (alcuni tecnici parlano in realtà di "stagflazione", ad indicare una combinazione tra ristagno dell'economia e crescita dell'inflazione), al quale è seguita apertamente la recessione più lunga fra quelle che hanno colpito i paesi maggiormente industrializzati. Recessione che, fino a prova contraria, non è terminata.
Per adesso infatti i segni più evidenti di questa tipologia di fase sono ancora tutti presenti: disoccupazione in crescita, redditi da lavoro subordinato o parasubordinato in calo, contrazione del credito, ecc.
Per essere precisi, dunque, l'Italia ha avuto un lustro di stagnazione (alcuni tecnici parlano in realtà di "stagflazione", ad indicare una combinazione tra ristagno dell'economia e crescita dell'inflazione), al quale è seguita apertamente la recessione più lunga fra quelle che hanno colpito i paesi maggiormente industrializzati. Recessione che, fino a prova contraria, non è terminata.
Per adesso infatti i segni più evidenti di questa tipologia di fase sono ancora tutti presenti: disoccupazione in crescita, redditi da lavoro subordinato o parasubordinato in calo, contrazione del credito, ecc.
Per crisi intendiamo, invece, la fase in cui gli elementi soggettivi (classi e settori economici) modificano la struttura della produzione di valore, più o meno pacificamente.
In altre parole, la recessione dura fin quando una società non entra in crisi e, attraverso una profonda ristrutturazione, torna a crescere. Questo passaggio da noi non c'è stato.
Nessuno ha voluto o potuto mettere le mani su ciò che ha determinato la nostra recessione.
In altre parole, la recessione dura fin quando una società non entra in crisi e, attraverso una profonda ristrutturazione, torna a crescere. Questo passaggio da noi non c'è stato.
Nessuno ha voluto o potuto mettere le mani su ciò che ha determinato la nostra recessione.
In primis non sono state toccate le banche. Anzi, attraverso la burocrazia tecnica della BCE, si sono messe in campo considerevoli risorse per salvarne alcune (e quindi, in fin dei conti, tutte). Mentre gli istituti concedevano crediti ai privati solo con la tutela di garanzie ben solide, che quasi nessuno ha in certi periodi, e a tassi notevoli, le stesse ricevevano prestiti da Francoforte all'1%. Molti di essi quindi sono in vita grazie ad un aiuto esterno e nessuno ha messo in dubbio come si siano comportati finora. Forse perché questo avrebbe svelato che il fattore finanziario, nelle loro mani, ha causato il disastro del 2008. Forse perché un'analisi lucida avrebbe rivelato la necessità di cambiare rotta in questo settore e i legami tra banche e correnti partitiche non lo consentivano e non lo consentono tuttora.
In secondo luogo, nulla è avvenuto di significativo nell'economia reale. Anzi, la tendenza dei governi che si sono succeduti negli anni a sacrificare in ogni modo la classe lavoratrice e le nuove generazioni per far quadrare i conti ha contribuito in maniera determinante ad una cultura dell'impresa in cui non venivano (e non vengono) considerati gli investimenti e l'innovazione, ma solo lo sfruttamento. Si è straparlato di produttività, legando questo concetto unicamente all'erosione dei diritti acquisiti dai lavoratori e mai mai mai all'efficientamento delle aziende. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: le imprese che chiudono sono ormai un mare.
Terzo ma non ultimo, c'è il fattore di immobilità istituzionale. Assistiamo da un ventennio ad una continua campagna elettorale ma nessuna decisione è mai stata presa per favorire un ritorno alla crescita. La politica, assistita in maniera quasi criminale dai cosiddetti tecnici, ha proceduto esclusivamente a tagli in ogni settore e alla deregulation in tema di lavoro.
Come detto sopra, la crisi ha invece bisogno di movimenti soggettivi per iniziare, cioè di settori sociali che si attivano per il proprio progresso e spingono il resto della società ad adeguarsi. Il paese si dovrebbe scrollare di dosso il timore di gestire dei conflitti e come prima cosa dovrebbe 'dimettere' l'attuale governo, che è la summa di quell'entourage politico-bancario-economico che ci ha consegnati a questa situazione. Se esso cadrà per effetto di spinte che provengano dalla società, avremo qualche speranza che il processo di crisi abbia inizio. Altrimenti avremo una ripresa finta, alla Saccomanni, derivata dalla ripresa degli altri paesi, e non scioglieremo mai i nodi che ci inchiodano al nostro imbarazzante sistema-Italia.
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