domenica 28 aprile 2013

Larghe Intese, Grandi Interessi

Sembra quasi un tentativo serio. Per chi non conosce l'Italia, il Pd e la politica nostrana.
Con l'eccezione dei quattro esponenti, molto mediatici e molto inconsistenti, del Pdl (Alfano, Lupi, Lorenzin e DeGirolamo) e dell'incredibile presenza di Emma Bonino, che senza un briciolo di rappresentatività elettorale va a fare niente meno che il Ministro degli Esteri, il governo di Letta jr ha quasi una sua presentabilità. Possiamo dire che, dove era possibile, il prode Enrico s'è giocato tutte le carte buone.
Eppure basta un minimo di buon senso per capire quanto partiamo male.

Innanzi tutto l'equilibrio a cui si è badato è primariamente quello di non scontentare Berlusconi. Quindi, a parte i nomi scelti per i ministeri, il concetto chiave è che il parere del cavaliere conterà più di tutto: se qualcosa non gli starà bene, farà saltare il banco. Tanto, pur avendo perso mezzo elettorato, ha ricevuto da D'Alema e compagnia cantante gli onori della vittoria; e se si dovesse rivotare a breve, rischia pure di vincere a mani basse.
La nota dolente, qui, è che la gestione della polizia è affidata direttamente al suo uomo di fiducia, Alfano. E cosa succederà nelle piazze della protesta? Cosa accadrà ai migranti, nel mare e nei Cie? Che valore, anche simbolico, ha l'aver dato al creatore di un 'lodo' sconfessato per manifesta inadeguatezza dalla Corte Costituzionale un ruolo chiave nell'ambito della giustizia?
Gli altri tre berluscones sono stati piazzati senza alcun criterio, anche fosse minimo, di competenza. Sanità, trasporti e agricoltura sono state interpretate solo come poltrone da riempire, nello stile più ributtante della prima repubblica.

Il Pd, dal canto suo, non ha fatto niente di più e niente di meno: allo sviluppo economico ha fatto mettere il sindaco di Padova (quello del 'muro' contro gli spacciatori, modello israeliano) che annovera sul curriculum una ferrea appartenenza all'apparato ex-pci; l'obbedienza diretta a D'Alema e la presidenza di un comitato per la pizzica e la taranta hanno fruttato a tale Massimo Bray il ministero della cultura; della fondazione ItalianiEuropei di D'Alema è presidente anche il sociologo siciliano Trigilia, seduto sulla poltrona del ministero della coesione territoriale; uomo classico di partito è pure Orlando, legato prima a Fassino e adesso a Fassina, che si prende l'ambiente e magari sarà lui a spiegarci perché, visto che nulla pare abbia fatto in questo settore.
Siccome anche Renzi va tenuto buono, anche ai suoi s'è dato qualcosa. A Franceschini, a cui era stata promessa anzitempo la presidenza della camera, per coerenza è stato affidato il dicastero dei rapporti col parlamento.

Non merita di essere dimenticata neanche la scelta di Giampiero D'Alia, area ex-Udc, uno che si è distinto per aver presentato una proposta di legge 'ammazza-blog' nel 2009. Così si coglie l'occasione per dimostrare di essere anche al passo coi tempi e l'evoluzione dei media. Per lui nientemento che il ministero della semplificazione.

Neanche la Dc ai tempi d'oro delle correnti che si spartivano tutto arrivava a tanto.

Il vero capolavoro di Letta jr, comunque, resta quello dei tecnici.
Eh già, perché non essendo bastata l'avversione di oltre il 90% degli elettori votanti a Monti e alla sua scialba squadretta di 'bocconiani', il baldo Enrico ne infila più o meno sette, alcuni dei quali ereditati direttamente dal suo predecessore.
In particolare la nomina di Saccomanni all'economia, "blindata da Napolitano", salta agli occhi per la sua allarmante internità ai circuiti bancari, nazionali (è il numero due di bankitalia) e internazionali (siede direttamente o per supplenza del governatore alla Bce, al Fondo Monetario, ecc.).
Il significato è che il nuovo governo, al di là degli screzi e degli equilibri tentati tra i partiti, si pone in assoluta continuità di politica economica con quello di Monti e in linea con le aspettative dei poteri forti della finanza europea e mondiale.
Proprio Saccomanni dichiara in queste ore di voler ridurre le tasse, ma tagliando sulla spesa pubblica. Ancora? Con i comparti dello stato e degli enti praticamente senza budget?
Con tutta probabilità ci avviamo ad una fase di inevitabile scontro sociale generalizzato (le stime del prodotto interno vengono costantemente riviste al ribasso) con la netta sensazione che una serie di interessi abbia completamente ignorato l'evidenza del risultato elettorale di febbraio.
E, passi l'inesperienza e l'arroganza sciocca dei 5 stelle, politicamente la parte debole della società italiana si appresta a non avere referenti politici in grado di portare le battaglie per la difesa dei diritti ed il rilancio delle politiche occupazionali e del reddito in parlamento.

Il Pd ha compiuto la scelta di associarsi a Berlusconi ed alle banche e questo traccia una linea di demarcazione che probabilmente non lo porterà mai più indietro. Sel non ha ancora spiegato di che morte vorrà morire.
In mancanza, dunque, di interfacce credibili, saranno le lotte stesse a doversi autorappresentare e a porre il tema cruciale dell'innovazione politica e culturale del paese.





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