Eppure il nostro paese è di fronte al punto critico della sua storia, lo snodo cruciale di un percorso svolto finora in una sorta di ostinata incoscienza culturale, soprattutto in ambito di prospettive economiche e nella sfera delle tutele per la persona.
La cooptazione di Monti alla guida del governo, circa un anno fa, ha determinato un drastico stop alla pantomima ventennale dello scontro apparente tra Berlusconi ed i suoi avversari. Di fronte all'implosione della finanza globale, il sistema del capitale ha cercato di tagliare tutti i rami secchi dello schema: ristrutturazione del credito (le banche e le loro politiche, non tanto le governance) e imposizione di rigore nella spesa pubblica di tutto l'occidente. Nessuno è stato risparmiato da questo assestamento pesante, fino anche agli stessi Usa, dove il tema del fiscal cliff (una specie di meccanismo automatizzato di riduzione lineare delle spese statali che scatta ad un certo livello di debito pubblico) ha tenuto i mercati di tutto il pianeta in allerta fino al raggiungimento di un accordo forzato* tra Obama ed i repubblicani.
Il laboratorio vero della repressione finanziaria è stato però palesemente la Grecia, che è stata ridotta in povertà da decisioni folli spiegabili solo entro una logica spietata di potere: è di pochi giorni la terribile notizia che i greci hanno concretamente perso il diritto alla salute, poiché le riforme sanitarie hanno di fatto eliminato la possibilità di accedere universalmente a farmaci e cure, anche se vitali.
L'Italia, come si sa, vive da anni una situazione non dissimile da quella che c'era in Grecia alla vigilia dell'intervento della troika (Fondo Monetario Internazionale, Banca Centrale Europea ed Unione Europea): il governo mondiale del denaro continua a ripetere che il debito pubblico rischia di non poter essere onorato. Da qui l'inquietante parabola dello spread, l'avvento del salvatore della patria al posto dello scellerato di Arcore e poche, devastanti riforme strutturali - quella delle pensioni, con scandalo esodati annesso, e l'altra del diritto del lavoro - messe in piedi in quattro e quattr'otto per far capire a tutti, in casa e all'estero, che il vento stava cambiando definitivamente e che solo questo si doveva fare. E quindi partiti allineati quasi senza eccezione, impossibilitati a muovere critiche nonostante queste riforme e le nuove tasse stessero minando completamente il loro consenso elettorale.
La mossa di Berlusconi di sfiduciare, peraltro neanche formalmente, il governo in carica ha dato il via alla campagna elettorale più controversa e nebbiosa della repubblica, da quando essa è tale.
In maniera anche un po' poco ortodossa e istituzionalmente corretta, questo professore della Bocconi nominato senatore a vita poi subito primo ministro senza alcun riscontro della popolazione, ha deciso di presentarsi al voto con un programma** che pare uscito direttamente dai verbali di qualche sessione del WTO o del G8, dogmatico fino all'ottusità sulle parole d'ordine del neoliberismo: produttività e rigore contabile, come se il mondo si riducesse a questo.
A destra la confusione è massima. Il partito di Mediaset agita la cancellazione delle tasse, ma ha già assaggiato la censura della destra vera, quella dei salotti dove si comanda davvero su tutto e tutti che ha mandato a casa Berlusconi riempiendolo anche di insulti ad ogni occasione propizia. Sono di rilievo in tal senso gli addii di personaggi della risma (bassa, è chiaro) di Frattini, che vanno dove il vento del potere li porta. Solo approfittando di una legge elettorale inguardabile come quella attuale, della potenza di fuoco mediatica del capo e di uno zoccolo duro di fedeli che li ha votati nonostante la palese indecenza per più di un lustro e non riesce a farsi il problema di regalargli di nuovo il proprio assenso. L'estrema destra va sempre tenuta invece d'occhio, perché le sue ricette facili e violente affascinano da sempre chi non ha niente e in un periodo buio come questo percepisce nell'altro il suo problema.
A sinistra sono avvenuti dei fatti che danno da pensare: come detto all'inizio, nessuno ha neanche più le velleità del rivoluzionario, neanche di maniera. La necessità di una rappresentanza più radicale, che pure da più parti veniva espressa soprattutto come impossibilità di congiungersi al Pd, è stata asfaltata dal lancio della candidatura del magistrato antimafia Ingroia, un ottimo pm che non si capisce con quale criterio dovrebbe poter rappresentare, ad esempio il mondo del lavoro salariato o precario. Non è che l'ultimo esempio dell'incapacità che abbiamo di organizzarci e strutturarci per introdurre nella società odierna i nostri punti di vista, col risultato che ormai siamo isolati culturalmente. E i Diliberto, i Ferrero e i Ferrando (solo per citare i meno ignoti) stanno ancora là a cercare di ritrovare un minimo di posto al sole, mentre tutto si sfascia. L'altro fatto che, avendo anche SeL abdicato le sue istanze (memorabile il passaggio da #oppureVendola a #oppureBersani al secondo turno di primarie), le sorti del progressismo italiano rimangono completamente nelle mani del Pd. E che belle mani, si dirà...
Il fatto strano però è che fra i Democratici prevale una visione dell'orizzonte politico che non converge esattamente con la linea del partito dell'era Monti. Nella consultazione di fine anno per la costruzione delle liste di camera e senato è emerso come l'area popolare di riferimento di questo partito preferisca che a rappresentarlo in parlamento siano soprattutto degli esponenti - diciamo così - più attenti alle dinamiche reali del lavoro e del reddito. A Roma sia Fassina che Matteo Orfini hanno ottenuto buoni risultati.
Tanto il dato si è fatto rilevante, che persino l'intoccabile bocconiano ha sentito l'esigenza di attaccare direttamente questa area del Pd:
Il problema, che messo così sembra di un altro pianeta rispetto alla vita reale della gente, ha invece delle ricadute fondamentali sul futuro di tutti noi, poiché è assai prevedibile che la prossima legislatura non potrà esimersi dall'affrontare determinati nodi.
Cosa dirà il Pd quando i poteri forti del capitale chiederanno la conversione del sistema sanitario nazionale al modello privatista (Monti, non casualmente, ha già gettato il sasso nello stagno qualche tempo fa)?
Cosa deciderà nel momento in cui le contraddizioni della riforma Fornero emergeranno in tutta la loro drammaticità?
Sarà in grado di fare da ponte tra le questioni reali che sono già in atto (Tav, Sulcis, esodati, precari, ecc.) e quelle che si produrranno andando avanti con il periodo di recessione?
* dal sito del Sole24Ore, http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-01-02/evitano-precipizio-anche-camera-075315.shtml?uuid=Ab5z4iGH
** http://www.agenda-monti.it/
***http://affaritaliani.libero.it/politica/monti-stronca-fassina-e-vendola020113.html?refresh_ce
nota a margine:
francamente ho la sensazione che la voragine di rappresentanza a sinistra abbia spinto 'naturalmente' ad avere speranza in alcuni personaggi del partito democratico che hanno espresso con più risolutezza un certo tipo di attenzione, di orientamento; ma non essendo il Pd un partito autenticamente popolare, tutte le istanze del lavoro/non lavoro, del territorio e dell'innovazione rischiano di naufragare nella volontà primaria di occupare posizioni di governo. E' già successo tutto questo, quando la situazione del paese non era ancora palesemente critica. E non riesco a immaginare che le cose possano mettersi su un altro binario dal momento che non c'è stato alcun autentico rinnovamento, malgrado l'artificio delle primarie.
L'Italia, come si sa, vive da anni una situazione non dissimile da quella che c'era in Grecia alla vigilia dell'intervento della troika (Fondo Monetario Internazionale, Banca Centrale Europea ed Unione Europea): il governo mondiale del denaro continua a ripetere che il debito pubblico rischia di non poter essere onorato. Da qui l'inquietante parabola dello spread, l'avvento del salvatore della patria al posto dello scellerato di Arcore e poche, devastanti riforme strutturali - quella delle pensioni, con scandalo esodati annesso, e l'altra del diritto del lavoro - messe in piedi in quattro e quattr'otto per far capire a tutti, in casa e all'estero, che il vento stava cambiando definitivamente e che solo questo si doveva fare. E quindi partiti allineati quasi senza eccezione, impossibilitati a muovere critiche nonostante queste riforme e le nuove tasse stessero minando completamente il loro consenso elettorale.
La mossa di Berlusconi di sfiduciare, peraltro neanche formalmente, il governo in carica ha dato il via alla campagna elettorale più controversa e nebbiosa della repubblica, da quando essa è tale.
In maniera anche un po' poco ortodossa e istituzionalmente corretta, questo professore della Bocconi nominato senatore a vita poi subito primo ministro senza alcun riscontro della popolazione, ha deciso di presentarsi al voto con un programma** che pare uscito direttamente dai verbali di qualche sessione del WTO o del G8, dogmatico fino all'ottusità sulle parole d'ordine del neoliberismo: produttività e rigore contabile, come se il mondo si riducesse a questo.
A destra la confusione è massima. Il partito di Mediaset agita la cancellazione delle tasse, ma ha già assaggiato la censura della destra vera, quella dei salotti dove si comanda davvero su tutto e tutti che ha mandato a casa Berlusconi riempiendolo anche di insulti ad ogni occasione propizia. Sono di rilievo in tal senso gli addii di personaggi della risma (bassa, è chiaro) di Frattini, che vanno dove il vento del potere li porta. Solo approfittando di una legge elettorale inguardabile come quella attuale, della potenza di fuoco mediatica del capo e di uno zoccolo duro di fedeli che li ha votati nonostante la palese indecenza per più di un lustro e non riesce a farsi il problema di regalargli di nuovo il proprio assenso. L'estrema destra va sempre tenuta invece d'occhio, perché le sue ricette facili e violente affascinano da sempre chi non ha niente e in un periodo buio come questo percepisce nell'altro il suo problema.
A sinistra sono avvenuti dei fatti che danno da pensare: come detto all'inizio, nessuno ha neanche più le velleità del rivoluzionario, neanche di maniera. La necessità di una rappresentanza più radicale, che pure da più parti veniva espressa soprattutto come impossibilità di congiungersi al Pd, è stata asfaltata dal lancio della candidatura del magistrato antimafia Ingroia, un ottimo pm che non si capisce con quale criterio dovrebbe poter rappresentare, ad esempio il mondo del lavoro salariato o precario. Non è che l'ultimo esempio dell'incapacità che abbiamo di organizzarci e strutturarci per introdurre nella società odierna i nostri punti di vista, col risultato che ormai siamo isolati culturalmente. E i Diliberto, i Ferrero e i Ferrando (solo per citare i meno ignoti) stanno ancora là a cercare di ritrovare un minimo di posto al sole, mentre tutto si sfascia. L'altro fatto che, avendo anche SeL abdicato le sue istanze (memorabile il passaggio da #oppureVendola a #oppureBersani al secondo turno di primarie), le sorti del progressismo italiano rimangono completamente nelle mani del Pd. E che belle mani, si dirà...
Il fatto strano però è che fra i Democratici prevale una visione dell'orizzonte politico che non converge esattamente con la linea del partito dell'era Monti. Nella consultazione di fine anno per la costruzione delle liste di camera e senato è emerso come l'area popolare di riferimento di questo partito preferisca che a rappresentarlo in parlamento siano soprattutto degli esponenti - diciamo così - più attenti alle dinamiche reali del lavoro e del reddito. A Roma sia Fassina che Matteo Orfini hanno ottenuto buoni risultati.
Tanto il dato si è fatto rilevante, che persino l'intoccabile bocconiano ha sentito l'esigenza di attaccare direttamente questa area del Pd:
Ora la distinzione fondamentale è tra chi vuol cambiare il Paese e chi a sinistra, mi riferisco a Vendola e a Fassina, e a destra, si oppone a questo cambiamento.***Dal mio punto di vista, non si parla affatto di un Luigi XVI che si scaglia contro dei Roberspierre. E' piuttosto un segno di quanto si sia inclinato a destra lo scontro politico. Ora, però, il governo che verrà e che con ogni probabilità dovrà essere ancora di compromesso tra un Pd maggioritario ma non autosufficiente ed il centro degli ex tecnici e democristiani, non potrà tenere insieme in Veltroni style elementi così distanti.
Il problema, che messo così sembra di un altro pianeta rispetto alla vita reale della gente, ha invece delle ricadute fondamentali sul futuro di tutti noi, poiché è assai prevedibile che la prossima legislatura non potrà esimersi dall'affrontare determinati nodi.
Cosa dirà il Pd quando i poteri forti del capitale chiederanno la conversione del sistema sanitario nazionale al modello privatista (Monti, non casualmente, ha già gettato il sasso nello stagno qualche tempo fa)?
Cosa deciderà nel momento in cui le contraddizioni della riforma Fornero emergeranno in tutta la loro drammaticità?
Sarà in grado di fare da ponte tra le questioni reali che sono già in atto (Tav, Sulcis, esodati, precari, ecc.) e quelle che si produrranno andando avanti con il periodo di recessione?
* dal sito del Sole24Ore, http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-01-02/evitano-precipizio-anche-camera-075315.shtml?uuid=Ab5z4iGH
** http://www.agenda-monti.it/
***http://affaritaliani.libero.it/politica/monti-stronca-fassina-e-vendola020113.html?refresh_ce
nota a margine:
francamente ho la sensazione che la voragine di rappresentanza a sinistra abbia spinto 'naturalmente' ad avere speranza in alcuni personaggi del partito democratico che hanno espresso con più risolutezza un certo tipo di attenzione, di orientamento; ma non essendo il Pd un partito autenticamente popolare, tutte le istanze del lavoro/non lavoro, del territorio e dell'innovazione rischiano di naufragare nella volontà primaria di occupare posizioni di governo. E' già successo tutto questo, quando la situazione del paese non era ancora palesemente critica. E non riesco a immaginare che le cose possano mettersi su un altro binario dal momento che non c'è stato alcun autentico rinnovamento, malgrado l'artificio delle primarie.
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