lunedì 19 novembre 2012

La 'parabola' dei tecnici

E' successo anche questo: ci siamo fatti dire persino che dei lacrimogeni lanciati da una finestra, invece erano stati sparati dal basso. Eppure è palese, abbiamo visto tutti.
E' tale però il livello di sudditanza psicologica della comunicazione mainstream, che ormai consentiamo ai nostri amati 'tecnici' di propinare qualsiasi fandonia e uscirne sempre puliti, più 'tecnici' di prima.


Non tiro per le lunghe la questione dei lacrimogeni, che userò invece come metafora di una situazione più complessa. Osservo solo che i tentativi di mistificare la verità risultano più maldestri, e quindi più inquietanti, di quanto appaiano a prima vista. Eh già, che l'immagine di un operatore esperto della piazza, che viene messo lì a lanciare lacrimogeni con apposito congegno, spari il dispositivo direttamente verso i piani alti di un ministero (dico un ministero, mica la Asl di Poggibonsi, con tutto il rispetto), risulta molto meno credibile della versione che i funzionari e la stessa guardasigilli si stanno affrettando a smentire con tanto di perizie dei reparti scientifici di mezze forze armate del paese.
La tremenda verità è che dalle parti del governo si è ben imparata la lezione del presidente Monti: non importa se sai bene che quel che vai dicendo è una sciocchezza, l'importante è che ci metti tutta la tua autorità (di 'tecnico') per sancirla come dato di fatto. E' l'ipse dixit.

Perché è dunque questa una metafora?
Perché la politica ha - un anno fa, circa - abdicato a braghe calate ai poteri forti, consegnando a degli esperti (lo sono davvero?) il ruolo di salvatori della patria. Ed ogni volta in cui Monti ed i suoi hanno detto castronerie incommentabili, le critiche si sono limitate ai colpi di fioretto. Mai nessuno, mai, ha sfidato fino in fondo questo governo, che pure ha detto peste e corna di tutti.
Le ragioni di questa resa sono evidenti: non è che da un giorno all'altro una classe politica, che non è stata all'altezza di prendere alcun provvedimento contro la stagnazione economica che fosse serio e ponderato, potesse permettersi di dire a Monti e ad i suoi: "no, guarda, si fa così".
Ogni qual volta ci hanno provato, Bersani o Berlusconi o Casini che fossero, hanno dovuto subire in silenzio la conseguente reprimenda.

La tragedia in tutto ciò non è però di certo la sorte dei politici, e neanche dei commentatori alla Scalfari-Giannini-DeBortoli-ecc. che pure stanno perdendo ogni giorno di credibilità nell'avvalorare tesi e posizioni infondate del governo: è nostro il problema.
E' di chi sa, oggi, che il traguardo della pensione si è allungato improvvisamente a dismisura; è di chi è stato indebolito nella contrattazione dalle nuove norme sui licenziamenti; è di chi è consapevole che questo governo sta lavorando per impedire il fallimento delle banche e non quello delle realtà produttive migliori e peggio non quello dei singoli lavoratori e delle loro famiglie (ormai le pratiche del recupero crediti dello Stato hanno qualcosa dello strozzinaggio).

Quei tanti e sempre più rumorosi settori che oggi si agitano per rivendicare un cambio di rotta non solo radicale ma strutturale delle politiche e delle normative vigenti, devono fare i conti con un potere che si è fatto davvero strafottente: i nostri ministri non hanno più alcun timore di dire sciocchezze, perché chiunque li contesta è tacciato subito di voler distruggere il buon lavoro compiuto finora.
Quale sia questo buon lavoro, e soprattutto per chi sia buono, non è dato saperlo.
E in tutto questo, lo spettacolo di una politica che ha perso agli occhi di chiunque la fiducia di un ruolo attivo nella crisi si fa più che avvilente, ributtante direi. Gli scandali continui e l'incapacità di leggere il disagio profondo delle persone stanno trasformando gli apparati dei partiti in un teatrino squallido, come la platea dei nobili diseredati che popolarono la reggia di Versailles fin quando il popolo inferocito non iniziò a reclamarne le teste.




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