Oltre i proclama ci sono i dati.
Produzione, vendite, occupazione, ammortizzatori sociali, tanto per fare qualche esempio.
Dati che parlano, e dicono che non è cambiato nulla nell'andamento dell'economia reale.
Ciò che più preoccupa quanti, come me e con maggiore competenza di quella che ho io, scrutano con attenzione queste statistiche, sono i fulcri del sistema.
Gli Usa altalenano fra tratti di ripresa e ulteriori crolli; l'Europa non riesce ad uscire dalla recessione; soprattutto, c'è la Cina che sta rallentando, cresce a ritmi più bassi del solito.
Finora i grandi santoni del capitalismo mondiale hanno provato a inculcare nell'opinione pubblica l'idea che i rami secchi del sistema fossero il problema. E ancora lo fanno quando raccomandano di rendere più flessibile la legislazione del lavoro e di ridurre sempre di più la spesa pubblica.
Ma come mai allora sono proprio le aree considerate più liberiste a soffrire questa fase?
Non è che, per caso, sia esattamente il calo della (capacità di) domanda globale a determinare la stagnazione? Non sfuggirà che le aziende chiudono con cifre di invenduto allucinanti, ma neanche che i debiti con le banche stanno strozzando l'intero comparto delle piccole imprese e dei negozi.
Sarò ripetitivo, ma ho solo la speranza che i miei ed i tanti altri improperi diventino un mantra collettivo: sono i meccanismi stessi del sistema ad aver prodotto il disastro che viviamo oggi.
Aver penalizzato per decenni il lavoro salariato alla fine non ha pagato e mano a mano, inesorabilmente, ha creato una voragine che non può essere ricomposta (se non cambia radicalmente tutto e subito).
Non è fatalismo. Gli stati, invece di mediare a favore dei ceti deboli, hanno svenduto proprietà e sovranità a cartelli di squali della finanza che da sempre si nutrono di disastri economici; gente che ha tratto profitti spaventosi dalla 'ristrutturazione' di aziende vere trasformate in marchi, con interi settori chiusi o delocalizzati verso zone a bassi salari di altri continenti.
Tutti i posti di lavoro distrutti nei decenni precedenti, tutti i lavoratori resi precari, hanno prodotto alla fine il collasso del sistema.
In prima battuta la crisi dei mutui in America, dove la gabbia dei prestiti non ha retto la costante discesa del potere d'acquisto, fino a far crollare una banca come la Lehmann Brothers; poi la cosiddetta crisi del debito greco, meglio descrivibile come la frattura fra sistema politico greco e gerarchie finanziarie mondiali, e che - a prescindere dal nome che vogliamo dargli - significa la distruzione economica di un'intera società, con attività chiuse a raffica, stipendi dimezzati nel giro di qualche mese e lo spettro della fame, che si aggira come non si vedeva da decenni nel veccho continente.
Il 'bello' però deve ancora venire. Facciamo l'ipotesi non tanto immaginaria di una recessione che dura ancora per un anno: come sarà possibile a quel punto invertire la rotta e ripartire?
Non dimentichiamo che, solo in Italia, maciniamo disoccupati al ritmo di un centinaio di migliaia per trimestre da qualche tempo. La tanto chiacchierata, solo chiacchierata, riforma del lavoro è in procinto di creare tutte le premesse per un ritorno di massa al 'nero', in tutte le forme che l'uomo sarà in grado di inventare.
E nonostante ciò, non si sente una voce proveniente da governi, istituzioni, banche o grandi società invocare misure per l'economia reale, cioè salari più alti, tasse sopportabili e operazioni di calmieraggio sui mercati più importanti (la casa e l'energia).
Quello in cui siamo immersi tutto è, infatti, fuorché una crisi; siamo solo di fronte all'ultimo assalto degli ultimi forzieri.
E' proprio una crisi che dobbiamo invocare (o, meglio, provocare)!
La crisi non è il momento in cui le cose vanno male, ma quello in cui cambiano, per ripartire da capo.
E questa società, se lo sta chiedendo come vuole che cambino? O piuttosto aspetta passivamente che cambino da sé, nel frattempo che i poteri forti hanno messo al riparo le loro posizioni ed i tesori che hanno accumulato senza dignità finora?
Può essere un governo di banchieri e commercialisti sostenuto da partiti, che hanno dissipato insieme ed in maniera pressoché irreparabile il patrimonio umano, culturale ed economico di questo paese finora, a far cambiare le cose?
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