lunedì 23 gennaio 2012

E Ora Tocca al Lavoro

Per un paio di settimane abbiamo assistito alle gazzarre delle categorie sulle liberalizzazioni.
Come sappiamo, il tutto si è risolto in un nulla di fatto, in quanto le novità introdotte da Monti hanno semplicemente scalfito di striscio alcune corporazioni e, dietro risibili calcoli sull'aumento di Pil per conseguenza di questi provvedimenti, alcune di esse si sono trovate addirittura rafforzate; assicurazioni, banche e petrolieri per primi.

Adesso, perciò, il governo che "ha fatto cose che non erano state fatte in vent'anni" (parola di Corrado Passera) metterà mano alle regole del mondo del lavoro dipendente.
Siamo dunque al vero snodo della vita di questo esecutivo 'tecnico': nato con la benedizione di tutti i poteri forti, la sua missione era quella di far pagare al lavoro il prezzo della crisi del sistema e della permanenza nell'euro.
Si è cominciato qualche mese fa con i provvedimenti sulle pensioni. Innalzamenti indiscriminati di soglie previdenziali che impediranno di fatto a parte della popolazione di accedere al diritto di non lavorare durante l'anzianità.
Indirettamente si è continuato con l'introduzione della nuova imposta maggiorata sulla casa e l'aumento dell'Iva.

Però sono i contratti di lavoro la vera posta in palio.
Fingendo di interessarsi alla questione della disoccupazione giovanile, ministri ed esperti si confrontano su modelli contrattuali di facciata dal duplice scopo: a) eliminare ogni forma di attività sindacale/rendere chi lavora più debole (perché solo) rispetto al datore di lavoro; b) disarticolare l'idea di contratto di categoria.
Non c'è altro; il resto delle cose che sentiamo sono solo fumose chiacchiere.

Il problema che affligge tuttavia i lavoratori in questa fase non è tanto la proposta ultra-liberista del governo e degli amici industriali, quanto l'arretratezza culturale e la mancanza di legittimità sociale del quadro sindacale attuale. Cgil, Cisl e Uil sono delle macchine che da troppo tempo hanno smesso di funzionare per il bene esclusivo dei lavoratori.
Le eccezioni costituite da ottimi elementi sindacali sparsi qua e là per il paese non riescono ad intaccare la regola.
A livello centrale in particolare, il sindacato è l'apripista delle carriere politiche. Tutti i leader sindacali finiscono in parlamento, tutti.
La loro contiguità con quei partiti che da anni stanno demolendo le conquiste collettive degli anni '60 e '70 è storicamente palese: quando governa il centro-destra, Cisl e Uil ci si accordano; quando tocca al centro-sinistra, la Cgil non fa mancare il suo contributo di consenso (o quantomeno di non dissenso); se poi capita un governo tecnico, allora si accodano tutti e si fanno le riforme insieme, appassionatamente.

Anche stavolta sarà così: Monti, Fornero e Passera arriveranno al tavolo con una proposta già vagliata dai sindacati; si farà finta di discuterne e diventerà presto legge.
Per noi lavoratori le cose non miglioreranno; c'è da giurarci.
Quando mai un aumento del potere giuridico dei padroni si è trasformato per noi in un vantaggio?

Se a partire dai prossimi giorni mancherà la voce diretta, non mediata, dura del mondo del lavoro dipendente, ci troveremo a subire senza nessun sussulto lo schiaffo di quei padroni che hanno causato il disastro economico in cui ci troviamo e che finora non hanno pagato nulla.
E allora una parte della colpa sarà anche nostra.





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