sabato 5 novembre 2011

A Carte Scoperte

Data importante, quella di oggi.
Con la richiesta ufficiale di essere monitorato dal Fondo Monetario Internazionale, il governo Berlusconi non esiste più. E' persino poco interessante parlare della sua persistenza formale, di fiducia e sfiducia.
La sottomissione dell'esecutivo è una resa definitiva, che ci mette tutti di fronte ad una nuova fase. Non avendo trovato nel governo espresso dalle ultime elezioni un terminale adeguato, la finanza internazionale ha preso direttamente il controllo del paese, un po' come si faceva negli anni 70 e 80 con gli stati sudamericani o africani.

I motivi che hanno determinati questo 'salto di qualità' sono molteplici, e niente affatto - come vorrebbero gli ingenui - legati alle sole malefatte di Berlusconi e soci.
Alternative praticabili non ce ne sono state; le fronde del 14 dicembre e quelle più recenti sono state sventate con delle semplici compravendite di poltrone ministeriali. Talmente è debole l'arco parlamentare attuale, che il premier ha potuto occuparsi delle sue vicende più impellenti senza mai averne troppi fastidi. Tutti hanno puntato sulla sua scarsa credibilità internazionale, mai sui temi prettamente sociali: forse perchè su questi risultava persino quello meno impopolare.
La riprova ce l'abbiamo in questi giorni, in cui la stampa benpensante, da La Repubblica al Corriere, non ha fatto altro che prendere come oro colato ogni singola frase pronunciata dalle cancellerie europee e dalla Bce. Non importava affatto cosa Berlusconi avesse dovuto promettere all'Unione Europea per restare in sella. Nessun accenno di critica a governi e istituzioni bancarie non italiane ben più esposte delle 'nostre' ai rischi del default greco (gli istituti francesi e tedeschi in questi giorni non sono stati più fortunati di quelli italiani in borsa, no?). Nessun quesito sulla fondatezza del legame tra debito pubblico e misure improrogabili su pensioni, welfare e licenziamenti. Chi ne ha parlato ha pensato bene di dare la colpa di ciò ancora a Berlusconi, il quale si è invece limitato (ben al di là di quello che gli conveniva fare per ragioni di consenso interno) ad impegnare il suo governo a fare quello che proprio l'Europa gli chiedeva da tempo.

Il nodo, dunque, è venuto al pettine.
Il problema è proprio questa Europa, l'Europa delle banche, cioè uno dei cardini principali del sistema finanziario globale.
Il tracollo subito dai mercati azionari per la completa separazione tra economia reale ed economia virtuale dovrebbe essere chiaramente un problema di chi l'ha generato. Invece questi signori pretendono che sia la popolazione dell'intero pianeta a pagarne il conto.
D'altronde a livello logico il ragionamento che fanno ci può stare: se l'economia la muoviamo noi perseguendo il profitto, garantiteci il profitto e noi torneremo a far funzionare le cose. A proposito: non metteteci i bastoni tra le ruote. Non inventatevi niente di strano con questi benedetti referendum sul debito, altrimenti vi riduciamo alla fame all'istante. L'ormai famosa minaccia alla Grecia, formulata in prima persona dai capi di governo francese e tedesco.

Ora qui la questione non è certo il referendum greco. La soluzione di questa crisi - o perlomeno una soluzione che non preveda il prosciugamento dei nostri pochi averi - non passa, come dicono i pur lodevoli ragazzi di OccupyWallStreet, per la creazione di un surplus di democrazia e responsabilità nella sfera dei mercati.
E' proprio il meccanismo capitalista che ha esaurito la sua possibilità di creare, in qualsiasi modo, sviluppo.
Sperare che con qualche regola e qualche tassa sulle transazioni o sui patrimoni le cose si risolvano è pura ingenuità.
Chissà se i conflitti che ci vedranno protagonisti fin dalle prossime settimane come lavoratori, come studenti, come fruitori di servizi (che ci piaccia o meno) permetteranno di aprire finalmente gli occhi e domandarsi cosa ci può essere oltre questo sistema malato e corrotto. Tirarsi indietro, di certo, stavolta non basterà.

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