Lanciare un sasso durante una manifestazione è tentato omicidio?
Evidentemente no: è un gesto politico.
L'ennesima battuta da bar, ma fatta con tono serio e perciò preoccupante, del ministro dell'interno leghista ha anch'essa uno scopo politico preciso.
Ridurre, come si fa da anni, un gesto politico sia pure di rottura ad un fatto penalmente rilevante.
Ovviamente quel che induce a riflettere è soprattutto l'unanimità con cui i partiti, da destra a sinistra, hanno 'condannato le violenze dei black bloc', delegittimando in coro l'autonomia di critica e rivendicazione della lotta contro la linea Tav in Val di Susa.
Il significato di questa unanimità, di questo coro di voci bianche, è che solo i partiti ed i loro leader televisivi hanno la prerogativa di decidere e di contrapporsi alle decisioni, di essere governo e opposizioni.
Fuori dal palazzo niente.
E' uno schema forte, potente, che si avvale di una copertura mediatica impressionante, monolitica.
'Contro lo scontro' tutti i titoli dei telegiornali e le prime pagine della carta stampata e dei siti di informazione.
Con la benedizione di un presidente della repubblica che è il simbolo stesso della separazione tra società civile e politica, imboscato ("migliorista", per dovere di cronaca) ai tempi del pci, istituzionale per eccellenza nel pds-ds-pd, firmatario della legge-vergogna che ha aperto la stagione della persecuzione dei migranti in questo paese.
Lo schema sta lì a proteggere i politici da ogni parvenza di opposizione reale, in particolare da forme di dissenso che si caratterizzano esplicitamente come conflitti.
Chi abbia avuto modo di studiare un po' di sociologia saprà che in questo ambito scientifico il conflitto è una categoria centrale, accettata ed approfondita. Perché anche solo un minimo di buonsenso induce a pensare che il conflitto è un fatto naturale nella società umana.
A confliggere sono soprattutto gli interessi materiali degli uomini, da sempre, e con tutta probabilità per sempre.
Nella modernità il capitale è l'elemento centrale dello scontro, che coinvolge il lavoro, il territorio, i beni, i servizi, la cultura, la comunicazione, ecc.
L'unico conflitto 'legittimo' è tuttavia il più agghiacciante ed insensato: la guerra di conquista, mascherata per lo più da guerra umanitaria. Non è lecito contestare duramente il proprio governo o qualche grande azienda, ma uccidere centinaia di migliaia di persone, spesso del tutto estranee a qualsiasi vicenda politica, equivale ad una condotta onorevole per soldati e mandanti.
Negli anni è stato creato ad hoc un vero e proprio lessico di regime per rassicurare o comunque indirizzare l'opinione pubblica: guerra umanitaria - come già accennato -, effetti collaterali, fuoco amico, esportare la democrazia, difendere le popolazioni insorte, e via dicendo. Un dizionario di sangue e orrore, che cela i più disparati interessi economici e strategici, nel dispregio assoluto della vita umana e dei suoi diritti basilari.
Si fa la guerra per speculare; ma si specula meglio se si dice di agire in base alla risoluzione dell'Onu.
Lo stesso vale per altri ambiti.
Si truffano i piccoli azionisti per speculare; ma si specula meglio se si dice che si lancia un'Opa.
Si licenziano i lavoratori per speculare; ma si dà un'immagine diversa se si nasconde che la produzione viene spostata in paesi dove la manodopera costa la metà.
In questi ambiti sorge spesso un conflitto con chi detiene interessi del tutto contrapposti a quelli degli speculatori.
Così è accaduto per la Val di Susa.
Che, giova ricordarlo, ricalca le orme di innumerevoli territori in lotta contro gli speculatori e, per forme e capacità mediatiche, ne incoraggia molti altri.
Da una parte l'enorme speculazione per un tratto ferroviario ad alta velocità di dubbia utilità; dall'altra un'intera comunità che vi si oppone ed attrae su di se l'attenzione e la solidarietà di ampi spaccati della società civile, come pure di individualità sparse.
In mezzo la cortina fumogena - altro che i gas della polizia - della politica e della stampa istituzionale, i quali hanno contribuito alla corposa campagna 'per il progresso' delle ferrovie dello stato e dei loro sodali finanziari. Se l'italia vuole il progresso, deve fare la tav torino-lione. Come se il tasso di progresso di una nazione dipendesse unicamente da qualche chilometro in treno. E poi altre balle colossali. A partire da quella dei fondi europei, che rappresenterebbero in realtà una piccola parte della spesa complessiva per l'opera, sufficiente - pare - solo ad effettuare uno scavo di prova tra le montagne. Tanto poi siamo in Italia: se la linea non verrà mai varata davvero, cosa importa?
La ressa dei politici a condannare i no-tav e bollare tutti come black-bloc è un sintomo di corruzione irrecuperabile della classe dirigente del paese, pagata a suon di milioni e prostitute per offrire i suoi servigi alla razza padrona.
A quando, allora, un appello a sacrifici inenarrabili per porre rimedio ai bilanci falsificati dello stato come in Grecia? A quando la privatizzazione di tutti i servizi pubblici? A quando l'ennesima guerra? A quando la prossima opera pubblica inutile, irrealizzabile, sproporzionatamente costosa, magari dannosa per l'ambiente e la salute dei cittadini?
La verità, nuda e cruda, è che quando contro di te si schiera una moltitudine di giganti, o decidi di sotterrarti da solo, o ti metti in gioco e combatti finché puoi. Mediazioni, alternative e buona educazione, purtroppo, in certi casi lasciano il tempo che trovano.
Il conflitto, purché non fine a se stesso, ma strumentale e tattico, è oggi un segno di vitalità dei soggetti che lo pongono in essere, se non di una vera e propria maturità politica. E' per questo che il suo fantasma aleggia e terrorizza i partiti; perché rischia di scardinare gli accordi più o meno sottobanco con cui si sono divisi, dividono e vorranno ancora dividere la torta che il sistema mette loro a disposizione.
In coda una breve rassegna stampa istituzionale
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