mercoledì 13 luglio 2011

Speculazione e Profitto: un Labile Confine

“Gli speculatori e gli arbitraggisti sicuramente cercano e sfruttano a loro vantaggio inefficienze, incapacità ed asimmetrie informative. Ma ogni mercato o sistema giuridico (si pensi a quello tributario) ha bisogno di tale azione per diventare più efficiente, colmando lacune ed errori di impostazione.
Guardiamo allora l’attacco in corso da un altro punto di vista: una potenza economica con un governo che godesse di una minima reputazione, capace di adottare misure razionali e non demagogiche in un contesto di crisi economica e finanziaria, diventerebbe mai il bersaglio della speculazione?”
Prendo spunto dalle righe scritte da Donato Didonna in relazione all’instabilità dei mercati finanziari in questo periodo per Il Fatto Quotidiano (edizione on line dell’11 luglio), per iniziare parlare di un argomento di interesse centrale per questo blog: la speculazione.
In maniera molto laica, il significato essenziale del termine ‘speculazione’ indica un profitto, che l’attore – lo speculatore, appunto – riesce a conseguire sfruttando una condizione particolare del valore di un bene (o di un servizio) attraverso fasi temporali successive; in particolare essa consiste nello scarto tra il valore a cui il bene è acquistato e quello a cui è venduto.
E’ dunque un profitto particolare. Non è dato da una capacità/possibilità di risparmiare ed accumulare denaro; non è dato da una normale attività commerciale tale per cui l’attore economico ricava un introito dalla vendita o dall’affitto di un bene (o, come prima) di un servizio a chi gliene faccia richiesta.
In questi giorni si fa un gran parlare della speculazione sui titoli di stato, ma come giustamente osserva il commentatore che abbiamo citato, sono le debolezze dei sistemi-paese a rendere possibili queste azioni. Ed il coro dei media, che con la solita superficialità inquadrano negli speculatori i responsabili dello stress economico che stanno subendo paesi come l’Italia, il Portogallo, la Grecia, ecc., inducono l’opinione pubblica pseudo-informata a ripetere questo mantra forse nella speranza che tutto passi e faccia meno danni possibile.
Tuttavia, con una breve riflessione critica, proviamo a riportare lo sguardo dal dito alla luna.
I media main-stream (cioè quelli più famosi ed importanti), come sappiamo bene, sono la voce dei potentati economici ed istituzionali, per conto dei quali indirizzano le informazioni al fine di ‘educare’ la società su una serie di argomenti. Ma soprattutto per non informarla su una serie di altri argomenti. In questo caso verifichiamo come parlino diffusamente dell’entità misteriosa degli speculatori finanziari (che sono come i black bloc, ottimi all’occorrenza perché senza volto e senza scopo), ma non ci spiegano che ruolo detengono in questo genere di crisi le caste politiche ed economiche. Non si sputa nel piatto in cui si mangia, d’altronde.
Non dicono che la crisi scoppiata dalle bolle dei titoli-spazzatura e dai mutui americani nell’autunno del 2008 non è stata risolta, che gli annunci hanno preso il posto delle decisioni, che valanghe di denaro pubblico sono state messe a disposizione delle banche per porre rimedio a falle di sistema che i loro comportamenti, questi davvero criminalmente speculativi, hanno generato.
Non si parla di queste cose perché potrebbero indurre interi settori della società di qualunque paese ad interrogarsi sui danni reali che vengono compiuti e soprattutto su chi li compie.
Potrebbe saltare fuori che il termine ‘speculazione’ risulti particolarmente appropriato per descrivere il funzionamento dell’intero sistema capitalista odierno, nell’annodarsi perverso di ambiti politico-amministrativi da una parte ed imprenditoriali dall’altro.
Facciamo un esempio recente e clamoroso: la vicenda della ricostruzione in Abruzzo nel post-terremoto. C’è un’emergenza dovuta ad un disastro naturale (lasciamo stare la questione di come fossero costruiti gli edifici crollate, specie quelli pubblici, per non mettere troppa carne al fuoco tutta insieme); bisogna andare a togliere le macerie e rimettere in piedi un’intera città; il governo deve fare subito qualcosa al più presto ed ha modo di agire per decreto: è così che può  affidare i lavori ad aziende accreditate presso un certo dipartimento (la protezione civile). Ma come si sono accreditate queste imprese (l’elemento imprenditoriale) alla protezione civile (l’elemento politico-amministrativo)? Con un sistema di concussione-corruzione. E dove sta la speculazione? Nel conseguire un profitto considerevole in forza di una relazione privilegiata con una serie di funzionari e politici. In situazioni come quella descritta il committente rappresenta lo stato e come tale si dispone a pagare alle imprese coinvolte cifre al di fuori dei canoni di mercato per i lavori che compie, nonché per i materiali che acquista al fine di realizzarli.
Come in ogni evento speculativo, il vantaggio di alcuni soggetti è legato inscindibilmente allo svantaggio di altri (il che differenzia la speculazione dal profitto tout-court): ci rimettono gli imprenditori che vengono esclusi dal circuito degli accreditati e molto, molto di più ci rimette la collettività che paga ingiustificatamente costi non ponderati per la realizzazione di determinate opere.
Quello fatto, volutamente, costituisce un esempio limite di una dinamica speculativa, benché la vasta corruzione che affligge le amministrazioni pubbliche (difficile credere che sia solo una questione italiana), lo renda praticamente di routine.
Rileva, a mio avviso, innanzi tutto il dato che per profitto gli imprenditori tendono a soverchiare il mercato e, ovunque sia possibile, a speculare. Cercano, cioè, di crearsi delle condizioni in che permetteranno loro di comportarsi come se agissero in regime di monopolio.
Come chiamereste una multinazionale che preme sugli organismi internazionali che regolamentano i mercati per mantenere nel proprio paese un insensato protezionismo e, contemporaneamente, pretende di avere libero spazio per le proprie merci in altre zone del mondo?
Come definireste un soggetto privato che acquista terreni ad uso agricolo, sapendo che un gruppo di politici a lui legati (magari per averne finanziato la campagna elettorale), li farà diventare edificabili?
Analoghe modalità si applicano ormai ad ogni ambito economico, senza alcuna esclusione.
La crisi [si veda l'articolo iniziale del blog: http://derivasinistra.blogspot.com/2010/05/nelle-mani-sbagliate.html], in quanto contrazione dei profitti ‘normali’, non fa che accelerare e radicare tali degenerazioni; se per una parte (ma va capito ancora quale) di aziende essa rappresenta il baratro, per altre si trasforma in guadagno incontrollato. In nome della crisi si licenzia al di là del necessario, si sposta la produzione in paesi a basso costo di manodopera, si evade il fisco, si corrompe, ecc.
A subire gli effetti più devastanti di questa deriva sono i territori, il lavoro dipendente ed i beni e servizi pubblici.
Per questo motivo occorre che la società civile metta in crisi prima di tutto la rappresentanza, sia locale che nazionale, e pretenda – partecipandovi – un radicale superamento dello schema politico attuale che è il perno operativo della speculazione, in senso passivo quando non agisce per arginare le spinte autonome del mondo imprenditoriale alla speculazione, in senso attivo quando crea di per sé contesti favorevoli a tali ingiustificati/dannosi profitti.



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