lunedì 25 luglio 2011

La Battaglia Senza Fine per una Giusta Informazione (1)

Due episodi di cronaca, diversamente gravi ma rilevanti, colpiscono per il riflesso condizionato che hanno generato presso i media di casa nostra.

Il primo, tremendo per efferatezza, è la doppia strage in Norvegia che ha ucciso al momento oltre novanta persone, bilancio che non sembra destinato a concludersi.
Ormai sappiamo che c’è un protagonista (non è ancora certo che abbia agito in completa solitudine) per questo delitto inaudito, che è un trentenne nordico ultraconservatore e fanatico religioso. Ma nonostante dopo qualche ora fosse stato catturato, i pc dei redattori delle principali testate italiane avevano imboccato immediatamente la pista del terrorismo islamico.
Non un dubbio, non una perplessità. E malgrado le diverse sfumature – con il Giornale di Sallusti costretto addirittura a rifare la prima pagina dopo aver stampato la sua tiratura con apertura ed editoriale (ad opera della simpatica Fiamma Nirenstein) completamente sballati – più o meno tutti hanno gridato all’ennesima strage jihadista.
Lo ammette con un candore che fa spavento Bernardo Valli di Repubblica: “Se il pensiero che si trattasse di un arabo, di un musulmano, era stato un riflesso condizionato, la scoperta che il criminale era "uno dei nostri" ha suscitato sgomento. Il terrorismo può dunque essere europeo. La sorpresa ha stordito non solo i norvegesi.”
Di sicuro ha stordito i commentatori italiani, che già smaniavano all’idea di poter riempire i loro fogli di cartapesta con un’interminabile serie di fregnacce sul mondo musulmano che ci odia e noi che dobbiamo essere uniti contro questo pericolo; la crisi e gli speculatori vanno bene fino ad un certo punto, perché se si insiste sempre sull’argomento poi la gente o si deprime o si arrabbia. Insomma, come al solito un attentato che è un toccasana.

La seconda balla fenomenale (ed inquietante) riguarda un fatto di ben altro conto, l’incendio di un’ala della nuova stazione Tiburtina di Roma.
Al 90% (non capirò mai bene queste dichiarazioni supportate da percentuali) secondo i pompieri si tratta di un incendio per corto circuito.
Mi trovavo a passare dalle parti della stazione per cose mie ed ho visto questo fumo scurissimo, tipico delle combustioni di materiale plastico, fuoriuscire dalla parete della nuova stazione adiacente alla tangenziale. Ho pensato immediatamente sia al corto circuito, sia al fatto che si sarebbe parlato di un attentato.
Questo bel mostro nuovo di zecca, ancora in fase di completamento, è destinato al ruolo di hub dell’alta velocità tra nord e sud. Un’opera al centro di polemiche e di mobilitazioni cittadine che si sono rinvigorite in concomitanza con la nuova fase della resistenza alla Tav in Val di Susa.
Appena rientro a casa vedo in tv che i canali all news mandano a ripetizione la notizia secondi cui si considera che l’incendio sarebbe di origine dolosa e andrebbe collegato alla contemporanea ripresa delle proteste in Piemonte. Anche qui nessun elemento concreto; anche stavolta prima la tesi e poi, al limite, la rettifica.
Ovvia l’irritazione dei comitati No-Tav. Indirizzare su una protesta popolare e partecipata come quella dei valsusini il sospetto del terrorismo. Meno ovvia, ma nessuno l’ha detto, la questione della gestione di una struttura che tutte le mattine è affollata da migliaia di pendolari che non prendono la Tav ma i regionali, affollati all’inverosimile, disagiatissimi, e che palesemente non è preparata a gestire situazioni critiche.
Se l’incendio fosse scoppiato in mezzo alla settimana, cosa sarebbe accaduto? I nostri eroi della dis-informazione avrebbero innanzi tutto, ancora una volta, parlato di attentatori No-Tav e islamici, magari insieme, per poi compiangere le decine di vittime della calca e del panico.

Malgrado noi si sia tutti adulti e vaccinati e si sappia cos’è l’informazione borghese – la letteratura corrente preferisce definirla mainstream, ma la sostanza è quella –, non possiamo esimerci dal compito di produrre serratamente critica e contro-informazione in ogni modo che la tecnica e la fantasia ci consentano.



mercoledì 13 luglio 2011

Speculazione e Profitto: un Labile Confine

“Gli speculatori e gli arbitraggisti sicuramente cercano e sfruttano a loro vantaggio inefficienze, incapacità ed asimmetrie informative. Ma ogni mercato o sistema giuridico (si pensi a quello tributario) ha bisogno di tale azione per diventare più efficiente, colmando lacune ed errori di impostazione.
Guardiamo allora l’attacco in corso da un altro punto di vista: una potenza economica con un governo che godesse di una minima reputazione, capace di adottare misure razionali e non demagogiche in un contesto di crisi economica e finanziaria, diventerebbe mai il bersaglio della speculazione?”
Prendo spunto dalle righe scritte da Donato Didonna in relazione all’instabilità dei mercati finanziari in questo periodo per Il Fatto Quotidiano (edizione on line dell’11 luglio), per iniziare parlare di un argomento di interesse centrale per questo blog: la speculazione.
In maniera molto laica, il significato essenziale del termine ‘speculazione’ indica un profitto, che l’attore – lo speculatore, appunto – riesce a conseguire sfruttando una condizione particolare del valore di un bene (o di un servizio) attraverso fasi temporali successive; in particolare essa consiste nello scarto tra il valore a cui il bene è acquistato e quello a cui è venduto.
E’ dunque un profitto particolare. Non è dato da una capacità/possibilità di risparmiare ed accumulare denaro; non è dato da una normale attività commerciale tale per cui l’attore economico ricava un introito dalla vendita o dall’affitto di un bene (o, come prima) di un servizio a chi gliene faccia richiesta.
In questi giorni si fa un gran parlare della speculazione sui titoli di stato, ma come giustamente osserva il commentatore che abbiamo citato, sono le debolezze dei sistemi-paese a rendere possibili queste azioni. Ed il coro dei media, che con la solita superficialità inquadrano negli speculatori i responsabili dello stress economico che stanno subendo paesi come l’Italia, il Portogallo, la Grecia, ecc., inducono l’opinione pubblica pseudo-informata a ripetere questo mantra forse nella speranza che tutto passi e faccia meno danni possibile.
Tuttavia, con una breve riflessione critica, proviamo a riportare lo sguardo dal dito alla luna.
I media main-stream (cioè quelli più famosi ed importanti), come sappiamo bene, sono la voce dei potentati economici ed istituzionali, per conto dei quali indirizzano le informazioni al fine di ‘educare’ la società su una serie di argomenti. Ma soprattutto per non informarla su una serie di altri argomenti. In questo caso verifichiamo come parlino diffusamente dell’entità misteriosa degli speculatori finanziari (che sono come i black bloc, ottimi all’occorrenza perché senza volto e senza scopo), ma non ci spiegano che ruolo detengono in questo genere di crisi le caste politiche ed economiche. Non si sputa nel piatto in cui si mangia, d’altronde.
Non dicono che la crisi scoppiata dalle bolle dei titoli-spazzatura e dai mutui americani nell’autunno del 2008 non è stata risolta, che gli annunci hanno preso il posto delle decisioni, che valanghe di denaro pubblico sono state messe a disposizione delle banche per porre rimedio a falle di sistema che i loro comportamenti, questi davvero criminalmente speculativi, hanno generato.
Non si parla di queste cose perché potrebbero indurre interi settori della società di qualunque paese ad interrogarsi sui danni reali che vengono compiuti e soprattutto su chi li compie.
Potrebbe saltare fuori che il termine ‘speculazione’ risulti particolarmente appropriato per descrivere il funzionamento dell’intero sistema capitalista odierno, nell’annodarsi perverso di ambiti politico-amministrativi da una parte ed imprenditoriali dall’altro.
Facciamo un esempio recente e clamoroso: la vicenda della ricostruzione in Abruzzo nel post-terremoto. C’è un’emergenza dovuta ad un disastro naturale (lasciamo stare la questione di come fossero costruiti gli edifici crollate, specie quelli pubblici, per non mettere troppa carne al fuoco tutta insieme); bisogna andare a togliere le macerie e rimettere in piedi un’intera città; il governo deve fare subito qualcosa al più presto ed ha modo di agire per decreto: è così che può  affidare i lavori ad aziende accreditate presso un certo dipartimento (la protezione civile). Ma come si sono accreditate queste imprese (l’elemento imprenditoriale) alla protezione civile (l’elemento politico-amministrativo)? Con un sistema di concussione-corruzione. E dove sta la speculazione? Nel conseguire un profitto considerevole in forza di una relazione privilegiata con una serie di funzionari e politici. In situazioni come quella descritta il committente rappresenta lo stato e come tale si dispone a pagare alle imprese coinvolte cifre al di fuori dei canoni di mercato per i lavori che compie, nonché per i materiali che acquista al fine di realizzarli.
Come in ogni evento speculativo, il vantaggio di alcuni soggetti è legato inscindibilmente allo svantaggio di altri (il che differenzia la speculazione dal profitto tout-court): ci rimettono gli imprenditori che vengono esclusi dal circuito degli accreditati e molto, molto di più ci rimette la collettività che paga ingiustificatamente costi non ponderati per la realizzazione di determinate opere.
Quello fatto, volutamente, costituisce un esempio limite di una dinamica speculativa, benché la vasta corruzione che affligge le amministrazioni pubbliche (difficile credere che sia solo una questione italiana), lo renda praticamente di routine.
Rileva, a mio avviso, innanzi tutto il dato che per profitto gli imprenditori tendono a soverchiare il mercato e, ovunque sia possibile, a speculare. Cercano, cioè, di crearsi delle condizioni in che permetteranno loro di comportarsi come se agissero in regime di monopolio.
Come chiamereste una multinazionale che preme sugli organismi internazionali che regolamentano i mercati per mantenere nel proprio paese un insensato protezionismo e, contemporaneamente, pretende di avere libero spazio per le proprie merci in altre zone del mondo?
Come definireste un soggetto privato che acquista terreni ad uso agricolo, sapendo che un gruppo di politici a lui legati (magari per averne finanziato la campagna elettorale), li farà diventare edificabili?
Analoghe modalità si applicano ormai ad ogni ambito economico, senza alcuna esclusione.
La crisi [si veda l'articolo iniziale del blog: http://derivasinistra.blogspot.com/2010/05/nelle-mani-sbagliate.html], in quanto contrazione dei profitti ‘normali’, non fa che accelerare e radicare tali degenerazioni; se per una parte (ma va capito ancora quale) di aziende essa rappresenta il baratro, per altre si trasforma in guadagno incontrollato. In nome della crisi si licenzia al di là del necessario, si sposta la produzione in paesi a basso costo di manodopera, si evade il fisco, si corrompe, ecc.
A subire gli effetti più devastanti di questa deriva sono i territori, il lavoro dipendente ed i beni e servizi pubblici.
Per questo motivo occorre che la società civile metta in crisi prima di tutto la rappresentanza, sia locale che nazionale, e pretenda – partecipandovi – un radicale superamento dello schema politico attuale che è il perno operativo della speculazione, in senso passivo quando non agisce per arginare le spinte autonome del mondo imprenditoriale alla speculazione, in senso attivo quando crea di per sé contesti favorevoli a tali ingiustificati/dannosi profitti.



martedì 5 luglio 2011

Il Loro Problema è il Conflitto

Lanciare un sasso durante una manifestazione è tentato omicidio?
Evidentemente no: è un gesto politico.

L'ennesima battuta da bar, ma fatta con tono serio e perciò preoccupante, del ministro dell'interno leghista ha anch'essa uno scopo politico preciso.
Ridurre, come si fa da anni, un gesto politico sia pure di rottura ad un fatto penalmente rilevante.
Ovviamente quel che induce a riflettere è soprattutto l'unanimità con cui i partiti, da destra a sinistra, hanno 'condannato le violenze dei black bloc', delegittimando in coro l'autonomia di critica e rivendicazione della lotta contro la linea Tav in Val di Susa.
Il significato di questa unanimità, di questo coro di voci bianche, è che solo i partiti ed i loro leader televisivi hanno la prerogativa di decidere e di contrapporsi alle decisioni, di essere governo e opposizioni.
Fuori dal palazzo niente.

E' uno schema forte, potente, che si avvale di una copertura mediatica impressionante, monolitica.
'Contro lo scontro' tutti i titoli dei telegiornali e le prime pagine della carta stampata e dei siti di informazione.
Con la benedizione di un presidente della repubblica che è il simbolo stesso della separazione tra società civile e politica, imboscato ("migliorista", per dovere di cronaca) ai tempi del pci, istituzionale per eccellenza nel pds-ds-pd, firmatario della legge-vergogna che ha aperto la stagione della persecuzione dei migranti in questo paese.

Lo schema sta lì a proteggere i politici da ogni parvenza di opposizione reale, in particolare da forme di dissenso che si caratterizzano esplicitamente come conflitti.
Chi abbia avuto modo di studiare un po' di sociologia saprà che in questo ambito scientifico il conflitto è una categoria centrale, accettata ed approfondita. Perché anche solo un minimo di buonsenso induce a pensare che il conflitto è un fatto naturale nella società umana.
A confliggere sono soprattutto gli interessi materiali degli uomini, da sempre, e con tutta probabilità per sempre.
Nella modernità il capitale è l'elemento centrale dello scontro, che coinvolge il lavoro, il territorio, i beni, i servizi, la cultura, la comunicazione, ecc.

L'unico conflitto 'legittimo' è tuttavia il più agghiacciante ed insensato: la guerra di conquista, mascherata per lo più da guerra umanitaria. Non è lecito contestare duramente il proprio governo o qualche grande azienda, ma uccidere centinaia di migliaia di persone, spesso del tutto estranee a qualsiasi vicenda politica, equivale ad una condotta onorevole per soldati e mandanti.
Negli anni è stato creato ad hoc un vero e proprio lessico di regime per rassicurare o comunque indirizzare l'opinione pubblica: guerra umanitaria - come già accennato -, effetti collaterali, fuoco amico, esportare la democrazia, difendere le popolazioni insorte, e via dicendo. Un dizionario di sangue e orrore, che cela i più disparati interessi economici e strategici, nel dispregio assoluto della vita umana e dei suoi diritti basilari.
Si fa la guerra per speculare; ma si specula meglio se si dice di agire in base alla risoluzione dell'Onu.

Lo stesso vale per altri ambiti.
Si truffano i piccoli azionisti per speculare; ma si specula meglio se si dice che si lancia un'Opa.
Si licenziano i lavoratori per speculare; ma si dà un'immagine diversa se si nasconde che la produzione viene spostata in paesi dove la manodopera costa la metà.
In questi ambiti sorge spesso un conflitto con chi detiene interessi del tutto contrapposti a quelli degli speculatori.
Così è accaduto per la Val di Susa.
Che, giova ricordarlo, ricalca le orme di innumerevoli territori in lotta contro gli speculatori e, per forme e capacità mediatiche, ne incoraggia molti altri.
Da una parte l'enorme speculazione per un tratto ferroviario ad alta velocità di dubbia utilità; dall'altra un'intera comunità che vi si oppone ed attrae su di se l'attenzione e la solidarietà di ampi spaccati della società civile, come pure di individualità sparse.
In mezzo la cortina fumogena - altro che i gas della polizia - della politica e della stampa istituzionale, i quali hanno contribuito alla corposa campagna 'per il progresso' delle ferrovie dello stato e dei loro sodali finanziari. Se l'italia vuole il progresso, deve fare la tav torino-lione. Come se il tasso di progresso di una nazione dipendesse unicamente da qualche chilometro in treno. E poi altre balle colossali. A partire da quella dei fondi europei, che rappresenterebbero in realtà una piccola parte della spesa complessiva per l'opera, sufficiente - pare - solo ad effettuare uno scavo di prova tra le montagne. Tanto poi siamo in Italia: se la linea non verrà mai varata davvero, cosa importa?

La ressa dei politici a condannare i no-tav e bollare tutti come black-bloc è un sintomo di corruzione irrecuperabile della classe dirigente del paese, pagata a suon di milioni e prostitute per offrire i suoi servigi alla razza padrona.
A quando, allora, un appello a sacrifici inenarrabili per porre rimedio ai bilanci falsificati dello stato come in Grecia? A quando la privatizzazione di tutti i servizi pubblici? A quando l'ennesima guerra? A quando la prossima opera pubblica inutile, irrealizzabile, sproporzionatamente costosa, magari dannosa per l'ambiente e la salute dei cittadini?

La verità, nuda e cruda, è che quando contro di te si schiera una moltitudine di giganti, o decidi di sotterrarti da solo, o ti metti in gioco e combatti finché puoi. Mediazioni, alternative e buona educazione, purtroppo, in certi casi lasciano il tempo che trovano.
Il conflitto, purché non fine a se stesso, ma strumentale e tattico, è oggi un segno di vitalità dei soggetti che lo pongono in essere, se non di una vera e propria maturità politica. E' per questo che il suo fantasma aleggia e terrorizza i partiti; perché rischia di scardinare gli accordi più o meno sottobanco con cui si sono divisi, dividono e vorranno ancora dividere la torta che il sistema mette loro a disposizione.

In coda una breve rassegna stampa istituzionale

Una Questione Molto Seria

Da quando abbiamo iniziato a muoverci come Cantiere Sociale Tiburtino deCOLLIamo, cioè 8 anni fa, abbiamo denunciato l'inconsistenza della politica nel V municipio e lo straripamento delle clientele, della speculazione, del degrado del territorio.
A mia memoria, visto che faccio politica attivamente da oltre un decennio nel nostro quadrante urbano, ho sempre registrato un certo squallore delle pratiche politiche locali, e con mio grande rammarico senza grandi differenziazioni rispetto alle compagini partitiche. posso dire di aver visto e sentito di tutto.
L'ultima consiliatura municipale tuttavia rasenta da oltre un anno il ridicolo, anzi forse l'ha abbondantemente superato.
Bastano poche considerazioni: dal 29 settembre 2010 non c'è più una giunta, circa un mese dopo che il presidente Caradonna era passato all'API di Rutelli.
In novembre tentativo di ricomposizione della giunta: fallita la spartizione degli assessorati. I circoli del Pd attaccano apertamente Caradonna, dopo che l'assessora Campana aveva già bocciato il presidente.
Intanto altri esponenti del centro-sinistra danno il via alle loro manovrine: Vella segue il presidente nell'Api.
La signora Campana rinuncia pubblicamente a dicembre ad un posto da assessore.
Altro esodo all'Api: è il turno di Fanasca e Colapietro.
A marzo 2011 un consigliere dei 'grillini' passa all'Idv dopo essere diventato nel frattempo capugruppo dell'Api, è Marco Delle Cave.
Proprio a marzo Pd e Sinistra Ecologia e Libertà (Sel) sfiduciano pubblicamente l'operato di Caradonna in una nota congiunta e gli rimproverano di aver sfasciato il centro-sinistra locale. A questo punto Pd, Sel e Idv chiedono 'a gran voce' una nuova giunta.
Così Caradonna fa un altro tentativo. Siamo ad aprile. L'Idv non fa parte della nuova giunta, denuncia che ci sono beghe di palazzo che impediscono il varo degli assessori, ma non avendone per sè manda tutto a farsi benedire.
A maggio succede l'imponderabile: dopo le incredibili dimissioni del 2° presidente del consiglio municipale in una sola consiliatura, Fabrizio Donati, viene eletto al suo posto un esponente niente meno che del Pdl, tale Bacchetti; ricordiamo che da solo il Pdl non aveva alcuna possibilità di eleggerlo, essendo in netta minoranza nel consiglio (solo il 35% di voti all'ultima tornata elettorale per il V municipio). Tutti nel centro-sinistra si scandalizzano, ma non si riesce a capire chi materialmente abbia votato il candidato della destra, o si sia quantomeno astenuto.
In questo quadro, Alemanno nomina un direttore tecnico del V municipio senza farne menzione con il presidente Caradonna. E' il segno più evidente del disastro combinato dai partiti del centro sinistra.
Da ultimo, Caradonna tenta di nuovo di formare una giunta, ma i malumori proseguono, soprattutto nel Pd, che per bocca del suo ennesimo capogruppo, Farcomeni (che il partito stesso aveva rimosso da presidente del consiglio municipale tempo addietro) rimane esterrefatto per i continui attacchi che il suo partito subisce in aula da parte del Pdl. Che è una cosa normale in democrazia, ma loro non lo sanno.
Lo spettacolo indegno che si sta svolgendo da così tanto tempo merita di essere preso in considerazione. E superato.
Il municipio che ha espresso la più alta percentuale di votanti ai referendum, il municipio che è lo specchio della sinistra nella città, ha bisogno di cambiare ORA rotta. E per questo nessuno si può sentire al di fuori del prossimo dibattito. Ci sarà un nuovo candidato del centro sinistra alla presidenza del V; non si può permettere che sia un innocuo passaggio di consegne tra burocrati di partito.
E tutti sono avvertiti. Le cose si muoveranno, bisognerà scegliere da che parte stare.

Ri Cominciare

Avevo deciso, più di un anno fa, di dotarmi di uno strumento personale di comunicazione per parlare di quello che mi interessava, commentare fatti, contribuire al dibattito politico e culturale per quel che avrei potuto.
Ma, come spesso mi succede, non ho saputo dare continuità a questo proposito, e a parte un paio di articoli, non ho scritto nulla.
E siccome invece di cose da dire ne ho tante, a prescindere da chi abbia voglia di sentirle, ri-comincio. Sperando di fare meglio.