Da una parte la mafia dei colletti bianchi che preme sull'acceleratore per avanzare con le fasi preliminari dei lavori per la Tav in Val di Susa.
Dall'altra la massa dei contrari, che è una massa critica ormai; non solo perché ha ampiamente travalicato i confini territoriali della protesta, ma soprattutto per il fatto che raccoglie consensi di esperti sia in ambito naturalistico che economico.
Parlare di un'opera per il progresso è ormai completamente impossibile. I costi realizzativi ed ambientali sono sotto gli occhi di tutti.
L'unica arma rimasta in mano ai poteri forti che bramano la Tav per realizzare un classico profitto all'italiana - mettiamo in piedi un appalto e ci mangiamo sopra per sette generazioni - è quella di buttarla sull'ordine pubblico.
'Chi non vuole far realizzare quest'opera è un criminale-sovversivo-ecc.', recita il mantra.
E così, giù con i manganelli, le retate, i processi contro i militanti. Un'armamentario mediatico da manuale. Un po' fuori moda tuttavia.
In realtà dietro questa grande battaglia di civiltà c'è un vero e proprio paradigma di potere: l'alta velocità è un tipico progetto da tandem berlusconi-veltroni, in cui si regalano un sacco di soldi agli amici degli amici (si veda l'operazione Minotauro) e si butta come fumo negli occhi del paese un progetto di futuro radioso che non ha nessun punto di contatto con la realtà.
Non a caso i difensori più strenui dell'opera sono l'ala governante del Pd e quello che rimane di Arcore. Sono i venditori di fumo, che per anni hanno al coperto un debito pubblico che straripava anche grazie alle loro trovate ed hanno fatto finta di scannarsi, salvo poi fare fronte comune ogni volta che la situazione l'abbia richiesto (chissà chi si ricorda come è venuta fuori la legge elettorale che abbiamo attualmente...).
Non a caso, perché per continuare a subgovernare come fanno da vent'anni, e per farlo in un momento difficile per la politica di partito come questo, non hanno alternativa al supportare il governo nella repressione contro il movimento no-Tav.
Proprio perché la posta in gioco è politica, la sfida della Val di Susa ha bisogno adesso di generalizzarsi, di attaccare non la singola opera, ma il sistema delle opere pubbliche nella sua interezza.
I rumors[1]di questi giorni che fanno un po' i conti della corruzione e degli sprechi (due facce della medesima medaglia) nel nostro paese raccontano una brutta storia che già conosciamo, in cui nulla viene fatto senza che i vari potentati - piccoli o grandi che siano - si approprino di risorse collettive in proporzioni spaventose.
E' ora che, con un po' di sano realismo, si chiuda un'epoca. Perché, al contrario di quello che i media di regime continuano a propinare, il problema non è il presunto egoismo di comunità che si oppongono alla realizzazione di opere che però servono: esattamente al contrario, il dato è quello di una pubblica amministrazione che, tanto a livello centrale che locale, usa il territorio ed i cittadini per scopi avversi al bene comune, orientati solo all'arricchimento monetario delle lobby che sostengono determinate correnti partitiche al momento del voto.
La lotta che verrà non può che condensare tre elementi chiave:
- il rifiuto generalizzato di opere pubbliche e speculazioni private che devastano l'ambiente naturale ed umano
- il collegamento con le lotte del mondo del lavoro e l'emancipazione sociale in genere
- il condizionamento dei rapporti con le forze politiche e le istituzioni che da esse promanano sulla base delle scelte di sistema.
Ogni compromesso in questa fase rischia di essere letale.
La Grecia sta lì ad ammonirci.
- [1] Appalti, consulenze, malasanità: ecco l'Italia dei soldi buttati, repubblica.it
- La guerra in casa contro i nemici della civiltà, da contropiano.org che riprende l'articolo da 'il Manifesto'
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