giovedì 29 dicembre 2011

La Follia di un Paese che Insegue una Percentuale

Quello che sta montando da diversi mesi, l'arma che ha fatto fuori Berlusconi (almeno per qualche tempo), lo stemma del governo tecnico, non è altro che una percentuale.
Tutta l'Italia, che non ne conosceva la denominazione fino a qualche mese fa, ormai parla solo di questa percentuale: lo spread.

E' ovvio che la sinfonia ripetuta quasi all'unisono dai media ha potuto facilmente condizionare un'opinione pubblica priva di conoscenza e coscienza.
Quello che è avvenuto è che alla crisi economica strutturale in cui siamo entrati è stato dato un nome - spread appunto - che sia in grado di spaventare ma soprattutto di (dis)orientare.
Esso è semplicemente la misura della differenza tra il rischio di investire in titoli di stato italiani e quello di investire in titoli tedeschi. Non si può dire che sia un indice privo di senso, come fanno i facinorosi dell'anti-finanza. Dice quanto un paese (in questo caso l'Italia) possa fare fronte al debito che ha creato, rispetto ad un altro paese (la Germania è un riferimento di solidità finanziaria, almeno fino a prova contraria).
Si può disquisire a lungo di quanto il debito sia diventato uno strumento di imperialismo finanziario, di quanto cioè i paesi forti lo usino nei confronti di quelli più deboli per imporre certe politiche in ambito commerciale e non solo.
Tuttavia non è corretto allineare la situazione italiana a quella dei paesi del cosiddetto terzo mondo, che non essendo strutturalmente emancipati, sono costantemente sotto il tiro delle istituzioni finanziarie mondiali.
L'Italia avrebbe un debito 'normale', se nei decenni le finanze statali non fossero state usate per scopi consoni: non è un mistero che i governi democristiani prima, ma anche quelli dei socialisti e quelli della seconda repubblica, hanno pagato il consenso delle lobby e delle loro clientele elettorali con il debito pubblico. Ciò che accade oggi è la conseguenza diretta di scelte politiche precise ed irresponsabili accumulatesi le une alle altre.

Ora, però, per impedire che a pagare gli aggiustamenti finanziari necessari siano quelle lobby e le altre che si sono formate in seguito, i ministri della Bocconi si stanno prodigando senza riserve.
Dietro la parvenza di un presunto rigore istituzionale, Monti e la sua combriccola si muovono come carri armati contro quel poco che rimane di patrimonio pubblico e welfare. Come se fosse normale che gli errori delle classi dirigenti li debbano per forza pagare lo stato come insieme di beni e servizi e le classi subalterne.
Capita, e spesso, ma non è un fatto ineludibile.

Ad esempio, stante il bilancio dello stato (cioè i movimenti in entrata e in uscita per un anno), quanto di questo bilancio si può realmente risparmiare se - invece delle pensioni - si risparmia cambiando le normative sugli appalti pubblici? Quanto si guadagna se, sempre ad esempio, si alzano le percentuali sulle penali di rientro dei capitali dall'estero?
Queste non sono illusioni, sono numeri realmente conseguibili, tanto quanto quelli spiattellati tutti i giorni da Monti e compari per giustificare la loro macelleria. Per di più non sono numeri aleatori, come quelli che potrebbero derivare dalla farsesca lotta all'evasione fiscale, sempre annunciata ma mai realmente perseguita. Sono numeri congrui.
Il difetto che avrebbero tali misure è quello di essere sistemiche. Impedire il lievitamento ingiustificato dei costi delle opere pubbliche, tanto per dirne una, porta stabilmente soldi (sotto forma di risparmio, innanzi tutto) allo stato, ma li toglie alla pletora degli imprenditori beneficiari. C'è da giurarci che questo non faccia loro piacere. La vicenda Finmeccanica (ma potrebbe essere, senza sostanziali differenze di fondo, Telecom, Fiat, ecc.) insegna a pieno ciò che questi meccanismi rappresentino veramente, mentre un'intera popolazione si autoflagella parlando senza cognizione di causa dello spread.

Se avessimo la forza di ragionare intelligentemente sulla sfiducia di tutti gli operatori del settore finanziario convolti nella vicenda del nostro debito pubblico (dalle agenzie di rating agli investitori, ecc.), ci accorgeremmo probabilmente che la determinano proprio quelle burocrazie assurde che mettono quasi solo le mafie in condizioni di lavorare per lo stato.
Se questa forza l'avessimo, ci permetterebbe in generale di rimproverare ai capitalisti da strapazzo di confindustria e simili l'arroganza con cui ripetono che questo paese si salva solo se i lavoratori perdono ogni diritto presente e futuro e se li si lascia agire in santa pace, quando è palese che proprio loro usano le attività che possiedono per secondi e terzi fini che nulla hanno a che fare con gli obiettivi di produttività e le altre sciocchezze che vanno blaterando ovunque possono; è dentro le aziende, anche senza bisogno di tirare in ballo l'evasione fiscale, che si consumano espropri nascosti da fatture doppie, acquisti non necessari, spese inutili che vengono messe a bilancio per favorire certi fornitori e altre nefandezze che fanno del settore privato una vera voragine economica autodistruttiva.
Se avessimo questa forza, potremmo dire che in Italia l'intero paradigma socio-politico-economico è saltato e che non sarà l'inseguimento di uno spread più basso (neanche i santoni venuti dall'università ci riescono) l'inizio della fase di sviluppo e di cambiamento radicale di rotta che è sensato augurarsi.

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