sabato 19 novembre 2011

La Crisi è Strutturale!

L'idea di fondo che sottosta alle manovre italiane contro Berlusconi e poi a favore di Monti consiste nel far passare una crisi profonda e devastante come quella che perdura almeno dal 2008 come una congiuntura negativa unita ad un difetto di gestione di un certo governo.
A ciò pare sottostare una strana idolatrìa per i "tecnici", fatti apparire come novelli salvatori della patria non solo in Italia, ma anche in Grecia e forse tra poco altrove. Senza chiedersi troppo chi siano, cosa abbiano fatto finora e se, per caso, abbiano qualche responsabilità in quel che sta accadendo nella profondità dell'economia.
Invece le cifre della produzione, della disoccupazione/sottoccupazione e di tutti i principali trend parlano di qualcosa di molto diverso.
L'elemento 'Euro', la favola dello spread, il pericolo (reale?) di default degli stati, non sono che corollari critici di una scena globale molto più complessa.
E' una crisi strutturale.

Ciò significa innanzi tutto che sono le fondamenta, le assi portanti del sistema, a scricchiolare fino quasi a rischiare di collassare.
Il traino del capitalismo, il profitto, si va progressivamente assottigliando da diversi lustri, almeno per quanto riguarda il cosiddetto mondo industrializzato (Usa, Giappone, Europa in particolare). E' consumata la sua spinta propulsiva e così, invece di far instaurare nuovi rapporti economici e sociali positivi, la sua ossessiva ricerca distrugge quelli esistenti.
La causa principale di questo andamento risicato del profitto è, però, insita nel modello sistemico contemporaneo, quello neoliberista che ha ridisegnato il mondo, ma che proprio i paesi più 'avanzati' hanno subito maggiormente.
La finanza globale ha messo ad un angolo il mondo produttivo - almeno dagli anni '70 - e quindi la maggior parte degli amministratori di società cercano di conseguire solamente rendimenti di borsa alti nel breve-brevissimo periodo.
I piani industriali non esistono più, fanno solo da apripista per le delocalizzazioni, le esternalizzazioni e tutte le altre amenità dei tempi che corrono.
Il dogma della libertà d'impresa, sancito da leggi sui contratti di lavoro e da normative in ambiti contigui scriteriate, ha permesso da un lato guadagni impensabili alle dirigenze aziendali; dall'altro ha dato luogo alla precarizzazione di massa di quelle che una volta si chiamavano le maestranze, cioè i dipendenti.

Sono questi ultimi a scontare i difetti del meccanismo economico.
Il peso sempre maggiore delle spese di mantenimento individuale/familiare (la casa, lo studio, la salute, persino la previdenza, ecc.) ha creato un indebitamento cronico. La quasi totalità delle compere avviane attraverso mutui e prestiti che è sempre più difficile onorare. Come succedeva ai tempi di Emile Zola e del suo Germinal.
Il lavoratore schiavo del suo debito sembrava una figura superata, dopo il 'boom' economico. Invece è tornata tristemente alla ribalta, avvicinando sempre più tra loro - ma a ribasso - paesi e continenti sinora distantissimi.
Il default, se si verificherà, penalizzerà loro (ovvero noi), che rischiano di non poter neanche usufruire del proprio (poco) denaro.

E' da questa visuale che occorrerebbe muoversi - e non da quella prodotta con tipico stile terroristico dai grandi media - per individuare la strada da percorrere per un reale risanamento.
Innanzi tutto il risanamento di cosa? E di chi?
Uno Stato che risana i suoi conti per compiacere i mercati finanziari, è lo Stato di tutti? Lo Stato che cancella i diritti dei lavoratori per fare un favore alle imprese (i cui titolari, però, spostano agevolmente i loro guadagni all'estero), che Stato è? E che Stato è quello che tassa i propri cittadini già a corto di fiato ma è pronto a ripianare i bilanci di banche che si sono esposte a rischi altissimi nella più totale autonomia?
Da dove prendere le risorse che ci sono e dove collocarle è, ragionando alla spicciola, ciò che qualifica uno Stato in un senso o in un altro.
Quello che avviene in questi giorni in giro per l'Europa parla di scelte borghesi per un sistema che è l'ultima evoluzione del sistema borghese di sempre.
E servono, al di là dei trucchi e degli inganni, a rinforzare l'idea che solo il capitalismo può offrire soluzioni ai problemi, come se questi fossero dei semplici incidenti di percorso.
Come se altre prospettive, che superano il presente, non si facessero via via più ragionevoli e necessarie per 'salvare' chi è veramente a rischio.

mercoledì 9 novembre 2011

Teniamo d'Occhio la Legge di Stabilità

Siamo entrati nel terreno del paradosso.
Il governo attuale non ha più la sua maggioranza, ma il premier non si dimetterà prima di aver fatto concludere l'iter della legge di stabilità per come gli è stata imposta dall'Ue.
L'opposizione istituzionale si dimena come al solito nell'incertezza e, invece di affondare la superata maggioranza con un normalissimo voto di sfiducia, dà la sua disponibilità a non ostacolare l'approvazione di questo famigerato atto. Firma un assegno in bianco, ma sulla pelle di chi?

Sarebbe facile e demagogico dire: sulla nostra; ma la questione non è così semplice.
Berlusconi non è tipo che si arrende, è animato da un autentico furore di successo. Non è affatto improbabile che, direttamente o indirettamente, si ricandidi; specie se le elezioni si terranno a breve. E dato che il disegno di questa legge sarà comunque firmato da lui, esso dovrà contenere ciò su cui si è sempre basata la sua fortuna politica.
Da un lato provvedimenti a favore delle rendite e delle speculazioni in grado si far entrare qualche soldo nelle casse dello stato ma senza intaccare la sostanza di questi fenomeni (condoni soprattutto).
Dall'altro una serie di tagli alla spesa pubblica che daranno il colpo di grazia alle amministrazioni locali e alla scuola pubblica.
Pensioni e licenziamenti, per convenienza, verranno toccati solo marginalmente e, comunque, in maniera da coinvolgere nel varo di norme specifiche anche l'opposizione parlamentare. Il ricatto dell'Europa che incombe funzionerà, eccome.

E' proprio su questo che occorre concentrare l'attenzione.
L'Europa ci impone misure drastiche per ridurre il debito pubblico, ma per quale motivo 'noi' dobbiamo raggiungere il pareggio di bilancio nel 2013 e la Francia nel 2016? Perchè le nostre pensioni devono salire da 65 a 67 anni e in Francia da 60 a 62? Eppure, esattamente come accadeva in Grecia prima del tracollo, il risparmio delle famiglie è fra i più alti al mondo.
Ognuno tragga le sue conclusioni; l'analisi comparata però è sempre lo strumento più adatto mettere le persone di fronte ai fatti.
L'Italia si indebita di più, tuttavia, perché non si sviluppa, o quantomeno non ha ritmi e presupposti paragonabili, ad esempio, a quelli francesi o tedeschi.
Molti sostengono che esiste un problema di non-crescita. Ma è una balla. I patrimoni sono cresciuti, e se può apparire che molti investimenti stanno perdendo valore con la borsa che va male, occorre ricordare a tutti che esiste un flusso instancabile di denaro che al minimo cenno di crisi viene trasferito all'estero. Per poi tornare in Italia nei momenti opportuni con le truffe legalizzate delle penali basse e degli scudi fiscali.
Tra l'altro, a parte questi ultimi mesi, per anni le aziende hanno fatto profitti enormi e li hanno reinvestiti all'estero, con società da poche migliaia di euro in cui il lavoro rende tanto e costa pochissimo.
Quello di casa nostra, dunque, un problema di sviluppo. Cioè di concezione dell'economia e dell'amministrazione.
Non esiste la professione della ricerca, nè nel pubblico nè nel privato. Si lavora con quello che c'è, se c'è. Tutto è lasciato all'iniziativa delle famiglie, che si caricano globalmente l'assistenza dei figli-studenti, e degli individui, i quali spesso si indebitano per pagarsi la formazione professionale adeguata. Che poi in realtà non serve a niente perchè le aziende preferiscono non avere a che fare con titoli che poi sarebbero costrette a far figurare negli stipendi dei dipendenti.
Non esiste più una dignità del lavoro. I contratti collettivi recenti e le dinamiche interne delle aziende e degli enti uniformano al ribasso, senza riguardo per nessuno. Quello che fai non conta niente, conta solo quanto e/o come sei legato al capo di turno. E quando ti fanno fuori, trovi un sindacato che invece di difendere te difende se stesso ed il suo ruolo ormai consolidato di operatore economico di rilevante fatturato annuo.
Non c'è più alcun riguardo per la cosa pubblica. La corruzione non dilaga, ha straripato. I partiti principali sono delle logge massoniche, spesso trasversali, che servono semplicemente a spartire appalti, commesse, posti di dirigenza, con il più totale dispregio delle elementari regole contabili. Ed ora che il denaro nelle casse dei ministeri è quasi finito, per fare cassa venderanno le ultime fette di patrimonio pubblico fatto di beni immobili e servizi agli amici degli amici.

Le eccezioni, che pure esistono in ogni ambito - imprenditori capaci, dirigenti responsabili, studenti meritevoli, lavoratori eccellenti, sindacalisti leali, funzionari scrupolosi, politici onesti, ecc. -, non intaccano la regola in questo paese.
Questo è ora il sistema.
E questo sistema farà la legge di stabilità per salvare se stesso.
Restiamo, perciò, vigili e capaci di critica: non ci ingannino i richiami alla responsabilità, da chiunque proverranno; qualunque cosa accada nei palazzi della politica nazionale (e anche locale) nei prossimi giorni, badiamo che in modo subdolo chiederanno ai lavoratori e ai loro figli e ai loro genitori di pagare il conto.
Se non accadrà nulla di davvero eclatante fuori da quei palazzi.

sabato 5 novembre 2011

A Carte Scoperte

Data importante, quella di oggi.
Con la richiesta ufficiale di essere monitorato dal Fondo Monetario Internazionale, il governo Berlusconi non esiste più. E' persino poco interessante parlare della sua persistenza formale, di fiducia e sfiducia.
La sottomissione dell'esecutivo è una resa definitiva, che ci mette tutti di fronte ad una nuova fase. Non avendo trovato nel governo espresso dalle ultime elezioni un terminale adeguato, la finanza internazionale ha preso direttamente il controllo del paese, un po' come si faceva negli anni 70 e 80 con gli stati sudamericani o africani.

I motivi che hanno determinati questo 'salto di qualità' sono molteplici, e niente affatto - come vorrebbero gli ingenui - legati alle sole malefatte di Berlusconi e soci.
Alternative praticabili non ce ne sono state; le fronde del 14 dicembre e quelle più recenti sono state sventate con delle semplici compravendite di poltrone ministeriali. Talmente è debole l'arco parlamentare attuale, che il premier ha potuto occuparsi delle sue vicende più impellenti senza mai averne troppi fastidi. Tutti hanno puntato sulla sua scarsa credibilità internazionale, mai sui temi prettamente sociali: forse perchè su questi risultava persino quello meno impopolare.
La riprova ce l'abbiamo in questi giorni, in cui la stampa benpensante, da La Repubblica al Corriere, non ha fatto altro che prendere come oro colato ogni singola frase pronunciata dalle cancellerie europee e dalla Bce. Non importava affatto cosa Berlusconi avesse dovuto promettere all'Unione Europea per restare in sella. Nessun accenno di critica a governi e istituzioni bancarie non italiane ben più esposte delle 'nostre' ai rischi del default greco (gli istituti francesi e tedeschi in questi giorni non sono stati più fortunati di quelli italiani in borsa, no?). Nessun quesito sulla fondatezza del legame tra debito pubblico e misure improrogabili su pensioni, welfare e licenziamenti. Chi ne ha parlato ha pensato bene di dare la colpa di ciò ancora a Berlusconi, il quale si è invece limitato (ben al di là di quello che gli conveniva fare per ragioni di consenso interno) ad impegnare il suo governo a fare quello che proprio l'Europa gli chiedeva da tempo.

Il nodo, dunque, è venuto al pettine.
Il problema è proprio questa Europa, l'Europa delle banche, cioè uno dei cardini principali del sistema finanziario globale.
Il tracollo subito dai mercati azionari per la completa separazione tra economia reale ed economia virtuale dovrebbe essere chiaramente un problema di chi l'ha generato. Invece questi signori pretendono che sia la popolazione dell'intero pianeta a pagarne il conto.
D'altronde a livello logico il ragionamento che fanno ci può stare: se l'economia la muoviamo noi perseguendo il profitto, garantiteci il profitto e noi torneremo a far funzionare le cose. A proposito: non metteteci i bastoni tra le ruote. Non inventatevi niente di strano con questi benedetti referendum sul debito, altrimenti vi riduciamo alla fame all'istante. L'ormai famosa minaccia alla Grecia, formulata in prima persona dai capi di governo francese e tedesco.

Ora qui la questione non è certo il referendum greco. La soluzione di questa crisi - o perlomeno una soluzione che non preveda il prosciugamento dei nostri pochi averi - non passa, come dicono i pur lodevoli ragazzi di OccupyWallStreet, per la creazione di un surplus di democrazia e responsabilità nella sfera dei mercati.
E' proprio il meccanismo capitalista che ha esaurito la sua possibilità di creare, in qualsiasi modo, sviluppo.
Sperare che con qualche regola e qualche tassa sulle transazioni o sui patrimoni le cose si risolvano è pura ingenuità.
Chissà se i conflitti che ci vedranno protagonisti fin dalle prossime settimane come lavoratori, come studenti, come fruitori di servizi (che ci piaccia o meno) permetteranno di aprire finalmente gli occhi e domandarsi cosa ci può essere oltre questo sistema malato e corrotto. Tirarsi indietro, di certo, stavolta non basterà.