C'è un paese che si è indebitato fino al collo.
Si è indebitato perché chi l'ha governato per centocinquant'anni ha sempre pensato di scaricare sul futuro le proprie incapacità. E la propria avidità.
Ma anche perché chi è stato governato - o almeno la maggior parte dei governati - non si è mai posto il problema di chi si presentava a chiedere il suo voto, con quali competenze e quali prospettive.
Un paese in cui è stato messo a punto un infallibile sistema di do ut des le cui criticità si sono sempre riversate sulle componenti deboli della società: le donne, i migranti, i giovani, gli operai, ecc.
In questo paese, tra una certa politica, una certa imprenditoria, un certo giornalismo, una certa malavita, un certo sindacalismo, un certo professionismo (di certi avvocati, notai, commercialisti, medici, docenti universitari), un certo commercio, si è creata nei decenni una collusione istituzionale, un gorgo insanabile di interessi. E malgrado tutto sembra sempre agitarsi, in realtà non si muove mai niente.
Questo paese, però, a un certo punto si trova ad avere a che fare con i paesi suoi vicini, che gli chiedono con insistenza come farà a pagare i debiti che ha contratto. Per tanto tempo questa domanda era stata insabbiata in quel paese; nessuno pubblicamente ne parlava, soprattutto perché non c'era un modo per i governanti e tutte le varie cricche di uscirne puliti e soprattutto di restare al proprio posto.
Così, quando le domande dei vicini si cominciano a fare asfissianti, qualcuno tira fuori un'idea: facciamo finta che i politici non governano più; al loro posto si insedieranno delle persone competenti, sostenute da tutti tutti, ma proprio tutti (altrimenti il gioco non funziona), che con la scusa di essere migliori dei politici chiedano ai soliti noti di pagare il debito.
Idea geniale per due motivi: perché i vicini non si curano di sapere chi pagherà, ma solo che si pagherà; e soprattutto perché schiacciando i soliti noti sotto una coltre di tasse e trattenute, essi diventeranno ancor più malleabili e, con la povertà, ricattabili.
Tuttavia c'è un problema: che ad un certo punto, quando le cose prendono a non funzionare per dei motivi seri, il meccanismo rischia di non poter essere aggiustato, ma è destinato a rompersi.
E quel qualcuno per questa evenienza ha un'altra idea, non geniale come la prima, ma pur sempre efficace: se le cose si mettono veramente male, noi delle cricche teniamo duro e facciamo bastonare tutti quelli che non ci vogliono stare. In fondo comandano loro, dicono, e non staranno certo lì a farsi cacciare dagli straccioni di turno.
Accade, tuttavia, l'incredibile: per ragioni che è difficile comprendere, tutti i piani delle cricche saltano.
Il debito diventa insolvibile e lo stato fallisce, o giù di lì. Da un momento all'altro, un sacco di gente si ritrova senza niente, ma con mutui, bollette e tasse che continuano ad arrivare.
I villani allora si adunano e dopo giorni e giorni di battaglie per le strade delle città, cacciano i governanti dai loro palazzi, danno fuoco alle redazioni giornalistiche, impiccano qualche centinaio di persone - un paio, poverini, pure onesti, come succede quando ci si arrabbia tanto con le classi dirigenti - e alla fine si ritrovano a dover rimettere loro stessi il paese in moto.
Si discute per qualche giorno e poi escono fuori le decisioni.
Primo: per pagare una parte cospicua dei debiti del paese, si sequestrano i patrimoni, tutti, per tutto il tempo necessario a sistemare i conti; si lascia alle persone la proprietà della casa in cui vivono e chi non è proprietario paga un affitto ragionevole ma allo stato.
Secondo: si commissaria la borsa e si tassano ragionevolmente le transazioni; si commissariano pure tutte le banche nazionali e le assicurazioni.
Terzo: si fa un contratto di lavoro nazionale unico, con dentro tutto quello che serve per garantire lavoratori e datori di lavoro di ogni categoria; si incentivano gli investitori a creare lavoro attraverso progetti innovativi sul piano dell'organizzarione, della tecnologia e del benessere.
Quarto: tutti gli immigrati che pagano le tasse diventano gradualmente cittadini a tutti gli effetti; i loro figli nati nel paese sono cittadini.
Quinto: sospensione immediata di tutte le operazioni militari in ogni parte del mondo e razionamento della spesa militare a soli scopi meramente difensivi.
Sesto: dichiarazione di stato di emergenza generale atta al blocco di tutte le opere pubbliche principali fino al varo della riforma delle regole degli appalti.
Settimo: chi non si sente a suo agio in questa nuova situazione se ne può andare subito, il viaggio sarà gratuito ma il sequestro dei suoi beni sarà definitivo.
Il paese indebitato, malgrado un po' di preoccupazione iniziale dei suoi vicini, riesce a rimettersi in corsa; qualcuno da allora sta peggio, ma una volta tanto non si tratta dei lavoratori.
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