giovedì 15 marzo 2012

Un Accordo che non è una Riforma

Occorre immediatamente sgomberare il campo dalle sciocchezze: l'accordo tra governo e sindacati sul tema del lavoro si profila come un semplice proclama di alcune entità politiche in difficoltà, che devono avere titoli di giornale da potersi giocare per il mantenimento delle postazioni (relative) di potere.

Da un lato c'è il governo Monti, che si è fatto imporre alla successione di Berlusconi a novembre ma non ha concretizzato neanche uno dei provvedimenti con cui si era accreditato [niente liberalizzazioni, niente riforme istituzionali].
Dall'altro il centro-sinistra, che non potrebbe più tenere il piede in due staffe e rischierebbe il cappotto.
Dall'altro ancora i sindacati, che cercano disperatamente un modo per sopravvivere in un mondo economico che palesemente li ha emarginati al ruolo di piccole lobby.



L'accordo che si delinea sta stabilendo i nuovi ruoli nel gioco delle parti all'italiana.
Monti e Fornero, i tecnici (!?), saranno i duri che non guardano in faccia a nessuno (nessuno che non siano banche, assicurazioni, petrolieri, ecc.); i sindacati che, per senso di responsabilità, daranno il loro assenso; il Pd che benedice l'accordo per salvare capra e cavoli; persino il Pdl si può rifare la faccia, grazie alla continuità tra gli intendimenti del ministro attuale e l'opera di Sacconi.

In questa nuova e per niente appassionante saga trash-politichese, ci sta andando di mezzo un'intera economia. Il nuovo diritto del lavoro non sposta di una sola virgola la realtà.
Le imprese non ottengono sgravi sull'occupazione; i lavoratori a tempo indeterminato verranno di fatto precarizzati, con implicazioni che si possono solo immaginare (quante banche saranno disposte ad erogare mutui e prestiti, ad esempio?); il tempo determinato sparirà, perchè reso troppo costoso; il lavoro a progetto, l'intervento legislativo sul quale poteva significare veramente una svolta sul tema della precarietà, non verrà toccato; in compenso ci sono tutte le premesse per un ritorno di massa al lavoro in nero; la riforma degli ammortizzatori sociali, fatta senza soldi, sfascerà quel poco che c'è di protezione per i lavoratori messi fuori dalle aziende.

Ci tengo a dire, a scanso di equivoci, che il diritto del lavoro - sia a livello di moduli contrattuali che di ammortizzatori - ha davvero bisogno di essere cambiato. Ma fare una riforma nel modo in cui si sta muovendo l'esecutivo attuale, creerà solo ulteriori disastri.
Il modo di regolare l'ambito del lavoro non può prescindere da un dibattito maturo su cosa significa oggi lavorare. Gli slogan ci porteranno alla fame.
Le aziende chiuderanno o verranno svendute ai capitali stranieri; i lavoratori si troveranno presto di fronte ad un baratro: questo sarebbe il momento di reagire e di mettere in un angolo tutti coloro che, senza alcun mandato esplicito, stanno decidendo del nostro futuro, anche se questo dovesse significare dare luogo ad un lungo conflitto.
La pace in questo momento non è un valore per nessuno.



2 commenti:

  1. Ogni volta che sento parlare di riforme e cambiamenti tremo...ho sempre la maledetta sensazione (tra l'altro mai smentita) che il "cambiamento" venga utilizzato come sinonimo di peggioramento...
    Mai vista una riforma sul lavoro o un nuovo accordo nei CCNL che vada a favore dei lavoratori...
    Ho visto sempre passi indietro rispetto a quei diritti pagati con sangue e rivolte del '70...

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  2. il cambiamento di cui non siamo protagonisti è sempre in peggio,dani...

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